Caso Maniaci, le presunte estorsioni a De Luca Ingroia: «Dall’accusa solo il vuoto pneumatico»

Minacce prima dichiarate e poi smentite sotto giuramento; soldi chiesti continuamente all’ex sindaco di Borgetto, Gioacchino De Luca, per pagare le «camurrie di tutti i giorni», ma che nemmeno gli amici e collaboratori più stretti hanno mai visto consegnare. Sono questi gli elementi emersi durante l’ultima udienza del processo per tentata estorsione e diffamazione a carico del giornalista di Telejato Pino Maniaci. «Tireremo le nostre somme, alla fine, ma intanto dall’accusa è il vuoto pneumatico», afferma con decisione l’avvocato Antonio Ingroia, legale del cronista insieme all’avvocato Bartolomeo Parrino. «Abbiamo ascoltato una testimone della segreteria di Partinico che ha smentito dichiarazioni che lei stessa avrebbe reso rispetto a presunte minacce subite e nemmeno direttamente da Maniaci, ma da una persona vicina a lui – spiega l’avvocato Ingroia -. Poi un altro teste, l’addetto stampa dell’ex sindaco, che con il controesame penso di aver distrutto sul piano dell’attendibilità, si è rimangiato alcune dichiarazioni fatte in precedenza. Questi sarebbero i testi forti dell’ultima udienza. Ma più si va avanti – e lo ribadisce anche il collega Parrino – più il castello dell’accusa si va sbriciolando».

Al centro degli ultimi esami di fronte al giudice Mauro Terranova, infatti, ci sono gli ex collaboratori del primo cittadino di Borgetto, comune sciolto per mafia a maggio dell’anno scorso e le presunte minacce a una dipendente comunale di Partinico. La prima a essere sentita è infatti Vita Evola, contrattista al comune di Partinico dal ’98, che ammette subito di conoscere la donna descritta dalla procura come l’amante di Maniaci, «faceva le pulizie nei vari uffici del primo piano. Mai avuto problemi con lei – dice la teste -. Non posso confermare di aver mai ricevuto una telefonata in ufficio dalla madre di lei che mi rimproverava per aver detto alla figlia di non venire più a lavoro, non ricordo di aver mai detto cose del genere. Io non sono nessuno per poter dire a qualcuno una cosa così. Vorrei capire a chi le avrei dette queste cose? Ai carabinieri di Partinico? No, non è possibile, non le ho mai dette», taglia corto la donna.

Prima di lei, a sedere sul banco dei testimoni è il maresciallo Gianluca Zappacosta. Anche lui deve rispondere in merito alla presunta amante del giornalista e a un fatto in particolare: l’auto incendiata a Maniaci e l’impiccagione dei suoi due cani, episodi che la procura ha fatto entrare a gamba tesa nel procedimento in corso malgrado non si ricolleghino di fatto ai reati contestati. «Ricordo che fu Maniaci stesso a esternare dubbi rispetto a questi episodi e a spiegare che il responsabile avrebbe potuto essere l’allora marito di questa donna». Ma il cuore dell’ultima udienza è tutto nelle testimonianza di Giuseppe Panettino, ex consigliere comunale a Borgetto e addetto stampa a titolo gratuito dell’ex sindaco De Luca. Sono amici fraterni da sempre, ma anche la conoscenza con Pino Maniaci è piuttosto lunga.

«Lui usciva sempre con la notizia pesante, metteva in risalto una serie di cose e poi si sentiva il sindaco oppure era il sindaco che lo cercava – racconta del cronista di Telejato -. Diceva che aveva notizie bomba che diceva che poteva evitare di pubblicare, spesso non la diceva nemmeno a me ma direttamente al sindaco. Notizie denigratorie, di prima mano, che a suo dire gli venivano confidate dalla polizia, da persone che facevano investigazioni e cose varie. Lui voleva pagate le bollette per evitare di fare eventuali trasmissioni, però puntualmente lui le faceva e poi tornava a discutere per fare capire che aveva delle conoscenze, diceva che doveva farlo per forza ma anzi diceva di esserci andato soft perché avrebbe potuto essere più pesante». Il quadro che dipinge in aula il testimone ha i tratti dell’ossessione e del tormento: «Maniaci telefonava di continuo, diceva che lo perseguitavano banche, che l’Enel il giorno dopo gli avrebbe staccato il contatore, cose così. Se il sindaco gli avesse dato quello che lui chiedeva, in cambio gli avrebbe poi dato la possibilità di spiegarsi rispetto alle cose pubblicate – racconta Panettino -. Io parlavo tutti i giorni col sindaco di queste cose, gli dicevo che non poteva subire questo ricatto continuo e che avrebbe dovuto denunciarlo. Mi auguravo che qualcosa succedesse, perché era impossibile, non si viveva più». Panettino però non ricorda nessuna di queste notizie bomba annunciate puntualmente da Maniaci, né di quelle finite nei servizi né di altre che non ci finirono.

È sicuro, però, di non aver mai visto personalmente l’ex sindaco De Luca consegnare dei soldi a Maniaci: «Non l’ho mai visto con miei occhi, si chiudevano nella stanza, però ne parlavamo. E quando Maniaci non mi chiamava allora significava che qualcosa gliel’aveva data. O almeno questa era la mia deduzione». E come sarebbero stati dati questi soldi? «Il sindaco diceva “ci penso io a staccare l’assegno”, ma era un modo per dire che se ne sarebbe occupato lui della questione, non avendo mai visto niente personalmente non so dire se gli consegnava questi soldi attraverso un assegno oppure in contanti». Panettino sottolinea più volte che quella frase era solo una formula per dire che De Luca aveva pagato, mentre per la difesa rappresenta un passo indietro da parte del testimone, al quale chiedono senza troppi giri se abbia ritoccato la propria versione dei fatti sulla base della precedente testimonianza, anche quella diversa rispetto a quanto dichiarato in passato, di Gioacchino De Luca. «Non ho sentito l’udienza su Radio Radicale, ho avuto un lutto e sono stato in America, mi sono collegato per pochi minuti, non ho sentito tutto e non ricordo di aver sentito questo passaggio, non ho interesse a cambiare le cose», insiste il teste.

Non sa nulla, Panettino, neppure del presunto incontro a New York fra De Luca e alcuni mafiosi locali, tra cui Francesco Rappa e Salvatore Giambrone. Un caso sollevato proprio da Maniaci con un servizio su Telejato e per il quale il giornalista deve adesso rispondere di diffamazione. Il teste lo ribadisce più volte, «a Borgetto la famiglia Rappa la conoscono tutti, ma il signore di cui mi chiedete, questo Mano monca, non lo conosco, io questa persona ho dimenticato che esisteva a Borgetto, ero bambino quando questo se ne andò in America». Dubbi, infine, anche sull’opportunità di sciogliere per mafia il Comune. «Sono convinto che sia stato ingiusto – dice -. Per come operavo io, per quello che facevamo, il lavoro col sociale, i debiti che ha trovato l’amministrazione, e per tutto quello che c’era. Noi ci siamo dati un codice, nell’amministrazione De Luca non c’erano elementi tali da dare fastidio al sindaco. Noi i mafiosi li abbiamo attaccati in tutti i modi, abbiamo fatto manifestazioni e sono stato uno dei promotori per una medaglia d’oro a un carabiniere».

Silvia Buffa

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