«Io rispondo spesso di pancia, sono un uomo istintivo e passionale. Molte cose, spesso, le ho dette per l’ira». Così oggi in aula Pino Maniaci, giornalista di Telejato sotto processo per tentata estorsione e diffamazione. A porgli le domande sono stati gli avvocati di parte civile e in seconda battuta i suoi difensori, che proseguiranno a settembre. Si è riservata, invece, la pm Amelia Luise, che ha preferito passare subito la palla e prepararsi in base a quanto ascoltato già oggi. I toni, a tratti, si fanno incandescenti in aula, tanto che è costretto a intervenire il presidente per rimettere ordine. Mentre Maniaci, intanto, nega ogni ipotesi d’accusa, specie la presunte estorsioni a danno degli ex sindaci di Borgetto e Partinico, Gioacchino De Luca e Salvo Lo Biundo, e di altri funzionari comunali. «Nell’ufficio del sindaco De Luca ho notato uno scambio di bigliettini, dopo il quale in genere si riprendeva a parlare normalmente. Sapevano quindi benissimo della presenza delle microspie», si difende sul banco dei testimoni.
«Conosco De Luca da prima che diventasse sindaco, glielo avevo affettuosamente sconsigliato di candidarsi per quella poltrona, proprio perché sapevo che c’erano delle indagini in corso per accertare le contiguità del Comune con la mafia locale, volevo cercare di evitargli lo scioglimento, cosa che alla fine è avvenuta come avevo previsto – racconta Maniaci -. Non si spiega però come da un lato chi indagò suggerì l’ipotesi delle misure cautelari, mentre la procura puntò sull’archiviazione. Alla fine anche il Tar Lazio ha rigettato l’appello contro lo scioglimento, per loro le infiltrazioni erano provate». Infiltrazioni che lui dice di aver sempre denunciato attraverso i servizi di Telejato. Che si contraddistingue per una linea editoriale spregiudicata. «Abbiamo sempre fatto nomi e cognomi dei mafiosi del territorio, che chiamiamo pezzi di merda, e li mettiamo alla gogna pubblica. Un indirizzo un po’ anomalo rispetto ad altre testate», dice lui. Per l’accusa l’emittente stessa sarebbe stata usata dal giornalista per intimidire e minacciare il politico di turno, «una strumentalizzazione del diritto di cronaca», per dirla con le carte dell’epoca, per ottenere in cambio somme di denaro. Chi si piegava a questo ipotetico ricatti avrebbe ottenuto, di contro, servizi più morbidi da parte dell’emittente.
«Mai cambiata la mia linea editoriale del giornale, né per De Luca né per altri – ribadisce oggi il giornalista -. Non sono mai stato più morbido con chi mi dava soldi per inserzioni o pubblicità. C’è l’archivio che parla, la storia, 20 anni di Telejato. Non siamo mai stati teneri con l’amministrazione De Luca, parliamo di centinaia di dvd che possono raccontare dei nostri servizi sulle infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale. Se davvero mi pagava, il giorno dopo avrebbe dovuto esserci qualche servizio più morbido. In tre anni di intercettazioni su di me non esiste, non c’è mai nessun do ut des, eppure per questo sono stato crocifisso a livello nazionale. Invece non esiste, io non ho mai detto “fammi questo che io ti faccio quest’altro”. Ho girato tutte le scuole d’Italia senza prendere un soldo e mi viene contestato di aver chiesto questi soldi? Sono stato due anni a sopportare di tutto e di più, ma la storia di Telejato non si può fermare per tre anni di intercettazioni del genere». A Borgetto, però, non è solo l’ex sindaco che si presume sia stato vittima di questo meccanismo di cui viene accusato oggi Maniaci. C’è anche Giacchino Polizzi, all’epoca assessore comunale.
In un’intercettazione è lui stesso a raccontare per tenere a bada il cronista di Partinico «era stato costretto dal sindaco ad acquistare una partita di magliette», oltre al fatto di «mettere a disposizione del giornalista gratuitamente un’abitazione», proprio lì a Borgetto. Ma intanto Maniaci nega con forza: «Non ho mai vissuto lì, mai avuto case, mai niente. Quell’intercettazione prosegue – aggiunge lui – con Polizzi che dice che se avessi continuato a denigrarlo si sarebbe rivolto ai suoi parenti mafiosi». Simile anche la vicenda che ha per protagonista l’ex sindaco di Partinico, Salvo Lo Biundo, secondo l’accusa costretto anche lui a versare somme di denaro per tenere buono Maniaci con i suoi servizi, e a continuare a far lavorare una donna che avrebbe avuto una relazione col giornalista. «La richiesta di aiutare questa donna è nata dalla volontà di aiutare soprattutto sua figlia disabile, per questo mi sono rivolto al sindaco, perché i servizi sociali a Partinico non funzionano. Se lui l’ha fatta lavorare in nero il reato l’ho commesso io?».
«Questa è la tana dei paradossi e dei controsensi», dice poi Maniaci. Raccontando anche di come, a un certo punto, sia cambiato il rapporto con la compagnia dei carabinieri di Partinico, con i magistrati e la procura di Palermo e anche coi colleghi giornalisti. Denunciando un isolamento nato proprio dalle accuse di cui risponde oggi. O, più precisamente, secondo lui dopo aver iniziato con Telejato alcune precise inchieste. «All’indomani di quel 4 maggio 2016, giorno in cui sono state diffuse le accuse a mio carico, non abbiamo più ricevuto in redazione nessuna mail da parte dei carabinieri di Partinico, con cui c’era sempre stata sinergia e collaborazione. Come fossimo diventati un covo di mafiosi – racconta -. Ma che qualcosa fosse cambiato l’ho percepito in precedenza. Prima eravamo caldeggiati, tutto è cambiato dopo avere detto ai magistrati che dentro al tribunale di Palermo qualcosa non andava, da quando cioè ci siamo mossi contro le Misure di prevenzione, presiedute allora dall’ex giudice Silvana Saguto, oggi sotto processo». Una vendetta, l’intera indagine contro di lui, per aver ficcato il naso dove non avrebbe dovuto? Questa l’ipotesi che sembra averlo spesso accarezzato. «Intanto, le intimidazioni e gli attentati contro di me ci sono stati, le indagini ne hanno confermato la matrice mafiosa – sottolinea -. Motivo per cui nel 2008 ho avuto la tutela, che ho ancora. L’hanno tolta a tutti tranne che a me».
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