Caso La Fata, la famiglia presenta l’esposto «È scandaloso che la procura non indaghi»

Le indagini sul caso di Salvatore La Fata, l’ambulante che si è dato fuoco il 19 settembre in piazza Risorgimento dopo un controllo antiabusivismo della polizia municipale, sono affidate esclusivamente agli stessi vigili urbani. Non indagano i carabinieri, sebbene siano stati chiamati sul posto al momento del tentato suicidio. E – afferma con decisione il procuratore capo Giovanni Salvi – non ci sono fascicoli aperti nemmeno in piazza Verga. Ma sia la famiglia sia i sindacati hanno intenzione di fare chiarezza sulla dinamica dei fatti in un’aula di tribunale. Stamattina Alfina Poli, moglie di La Fata, consegnerà un esposto al tribunale di Catania, accusando gli agenti di istigazione al suicidio e omissione di soccorso. Secondo alcuni testimoni, infatti, i vigili avrebbero involontariamente istigato il lavoratore, ex operaio edile specializzato, sottovalutando le sue intenzioni. Salvatore La Fata, che ha ustioni sul 60 per cento del corpo, è in coma farmacologico nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Acireale. In attesa di essere trasferito, quando si libererà un letto, al Centro grandi ustionati del Cannizzaro, in cui lavora un’equipe di chirurghi plastici.

«È scandaloso che la procura non indaghi», arringa Francesco Maria Marchese, l’avvocato nominato dalla famiglia La Fata. «Chiediamo che sia fatta chiarezza, vogliamo sapere i nomi dei vigili urbani che hanno eseguito quel servizio, intendiamo procedere contro di loro – prosegue il legale – Vogliamo che i magistrati verifichino la versione dei testimoni intervistati dal vostro giornale». E che interroghino il testimone segnalato dai fratelli di La Fata: «Di tutte le persone presenti, soltanto una ha accettato di testimoniare per raccontare la sua versione dei fatti». Che coincide con quella pubblicata alcuni giorni fa da CTzen. Nelle parole della donna che ha assistito alla scena, Salvatore La Fata si è allontanato con una bottiglia di plastica vuota per andare a riempirla di benzina al rifornimento Eni poco distante. Un punto, questo, smentito da un lavoratore della pompa di carburante: «Io ero in servizio e non l’ho servito e neanche i miei colleghi», sostiene. «Mi risulta che non si possa erogare benzina in bottiglia, mi pare chiaro che vogliano evitare problemi», replica Marchese.

«Non c’è un atteggiamento di chiusura da parte nostra, stiamo solo cercando di capire quale sia la verità – prosegue l’avvocato – Se non è vero che i vigili hanno provocato La Fata, meglio così, sarà un modo per fugare le ombre sulla polizia municipale e sul loro modo di gestire certe situazioni senza comprensione». Per questo, «se la magistratura non ha aperto un fascicolo, glielo faremo aprire noi». E all’accusa di istigazione al suicidio, già annunciata dai parenti dell’ambulante, si aggiunge quella di omissione di soccorso: «Se anche fosse vero che gli agenti gli hanno detto “Non darti fuoco” (è questa la versione sostenuta dal comandante della polizia municipale Pietro Belfiore, ndr), invece di parlare perché non gli si sono buttati addosso tentando di fermarlo? Perché non lo hanno spento immediatamente e, invece, sono rimasti a guardare?».

Nel frattempo Alfina Poli, la moglie dell’operaio, lancia un appello: «Se qualcuno ha visto, testimoni. Si passi una mano sulla coscienza e dica la verità». Una richiesta ribadita da Sergio La Fata, fratello di Salvatore: «A tutti i testimoni oculari, e so che eravate tanti, fatevi sentire, mettetevi in contatto con noi o coi giornalisti, raccontate quello che è successo». E aggiunge: «Non è una cosa di mafia, non ci sono criminali di mezzo, non c’è motivo di avere paura e nascondersi. Siate onesti, dite anche voi la veritࠖ esclama – Metteremo anche dei volantini in zona, aiutateci».

Luisa Santangelo

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