Caso Cipi, la ditta rifiuta ogni possibile soluzione  Sindacati: «Irregolarità nell’uso dei fondi pubblici»

«Massima disponibilità dal Mise e dalla Regione, ma una chiusura totale da parte dell’azienda». È così che i lavoratori riassumono l’incontro che si è concluso da poco nella sede romana del Ministero dello sviluppo economico per il tavolo di crisi sulla vertenza Cipi, azienda che si occupa di realizzare gadget promozionali. La data limite per il termine della procedura è fissata per il 27 marzo. A essere ricevuti dal responsabile dell’ufficio per la crisi d’impresa Gianpiero Castano, incaricato dal ministro Carlo Calenda, sono state le sigle sindacali rappresentate in azienda. Un appuntamento che non cambia la situazione: rimane infatti attuale il licenziamento collettivo dei 52 dipendenti dello stabilimento produttivo dell’azienda della Zona industriale di Catania.

«Di fronte alla indisponibilità da parte dei vertici aziendali – spiega a MeridioNews il segretario regionale Fistel Cisl, Antonio DAmico – abbiamo deciso di denunciare pubblicamente delle gravissime irregolarità che avevamo registrato nell’organizzazione del lavoro durante la procedura di solidarietà. In pratica, mentre il ministero concedeva dei fondi all’azienda tramite la Regione, la Cipi produceva anche fuori dall’Italia e guadagnava da queste produzioni all’estero». Dagli organi di competenza a livello nazionale e regionale saranno attivati dei controlli approfonditi per verificare l’oggetto della denuncia.

La ditta, fondata nel capoluogo etneo nel 1964 dall’imprenditore catanese Rosario Circo, alla fine di febbraio aveva annunciato la volontà di spostare gli interessi commerciali in altri Paesi dove l’acquisto della merce e i costi di produzione si affrontano con prezzi inferiori. Dopo il primo incontro avvenuto lo scorso 8 marzo, il Mise e la Regione avevano richiesto di acquisire tutta la documentazione per comprendere meglio la situazione aziendale di crisi. «Questa mattina – aggiunge D’Amico – noi rappresentanti delle sigle sindacali abbiamo presentato varie ipotesi di accordo per continuare a tenere aperto il sito produttivo etneo». Prepensionamenti, esodi incentivati, il ridimensionamento della struttura, la ricerca di altri imprenditori interessati e anche il progetto di creare una cooperativa di produzione e vendita che comprenda insieme i lavoratori di Catania e di Milano. «Alle istituzioni nazionali e regionali sono sembrate tutte proposte valide che hanno però la necessità di un allungamento dei tempi oltre il 27 marzo – spiega il segretario regionale della Fistel Cisl – ma l’azienda, che in un primo momento aveva manifestato l’intenzione di tendere la mano ai lavoratori, adesso ha fatto un passo indietro e quel tempo non vuole concederlo». 

Dopo anni di sacrifici, decurtazioni di stipendi e straordinari non pagati, per i lavoratori si avvicina la minaccia della chiusura definitiva. «Siamo molto amareggiati e arrabbiati – dice Valeria Vittorino, serigrafa di 46 anni che lavora in azienda da oltre 18 – perché ci aspettavamo che la ditta ci concedesse almeno un po’ di tempo per trovare un accordo. Questo, invece, non è avvenuto. Da parte dell’azienda c’è stato un assoluto rifiuto che indica una mancanza di interesse a trattare con noi lavoratori». Dopo la denuncia fatta questa mattina, la partita sembra ancora aperta, anche se mancano solo poco più di dieci giorni alla data che potrebbe sancire la chiusura del sito catanese. I lavoratori non celano l’intenzione di organizzarsi nei prossimi giorni per manifestare con ogni forma di lotta e per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo a una ditta storica del territorio. «Dalla fine di marzo c’è il rischio serio che rimarremo senza lavoro», conclude Vittorino.

Marta Silvestre

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