Caselli a Unict: «Resta il nodo mafia-politica» Dalla piazza solidarietà ai No Tav e No Muos

«E’ possibile che Gian Carlo Caselli sia un eroe quando fa i processi di mafia e un boia quando dirige la procura di Torino? Questo ci insegna che fare i magistrati significa non cercare il consenso ma la fiducia». Mentre il procuratore capo di Catania Giovanni Salvi pronuncia queste parole, l’ex reggente dell’ufficio piemontese, in pensione da dicembre, gli siede accanto nell’aula magna del palazzo centrale dell’università etnea. Al piano di sotto, una decina di manifestanti in solidarietà delle lotte No Muos a Niscemi e No Tav in Val di Susa tengono alte le loro bandiere. «Non vogliamo disturbare il convegno, ma far capire che la figura di Caselli non è univoca», spiega Matteo Iannitti di Catania bene comune. Perché al piano di sopra si sta discutendo proprio di questo,  della carriera e dell’impegno del noto magistrato diventato un simbolo del contrasto alle mafie.

«Contestiamo il fatto che dei movimenti sociali che lottano anche contro gli interessi della criminalità organizzata nelle grandi opere come la Tav vengano equiparati a dei terroristi – spiegano i manifestanti – Ci chiediamo come proprio Caselli non comprenda gli interessi della popolazione al posto di quelli dei governi che stanno dalla parte della mafia». «Noi perseguiamo i reati che vengono commessi. Allo stato, reati di crimine organizzato non ce ne sono. Quindi cosa vogliono? – sbotta Caselli a margine del convegno – Abbiamo fatto un’inchiesta sulla ‘ndrangheta in Piemonte che dimostra come non ci tiriamo indietro davanti a questi fenomeni. Chi dice il contrario, non ragiona. Punto».

Durante la mattinata, nell’aula magna, si ricordano proprio i successi del magistrato e quanto ci sia ancora da fare nel contrasto alle mafie, «con il suo business da 140 miliardi di euro all’anno e 65 miliardi di euro di liquidità», ricorda il giornalista Antonello Zitelli, moderatore dell’incontro, organizzato dall’associazione Haruka. «Credo che sia nelle aule dove studiano i nostri giovani che debba consolidarsi l’educazione alla legalità, che non è solo rispetto delle leggi ma anche etica dei comportamenti e della cittadinanza. Passa da qui anche l’emmorrargia di giovani rischia di desertificare la Sicilia», commenta il rettore etneo Giacomo Pignataro.

Appena dopo la parola passa a Marco De Lutiis – studente di Giurisprudenza, senatore accademico e presidente dell’associazione universitaria Nike – che pone l’accento su una cultura della legalità che non può prescindere dalla certezza della pena. «E non da attenuanti, amnistie e indulti nei confronti di quei reati minori che sono poi i singoli pezzetti di cemento dell’architrave mafiosa», spiega. Come i posteggiatori abusivi, fenomeno ben visibile a tutti i cittadini che spesso rinunciano a denunciare. «Serve la volontà dello Stato di non rimanere mai un passo indietro rispetto al soggetto contro cui lotta», conclude De Lutiis.

Dei passi avanti fatti finora parla il procuratore capo etneo Salvi, senza dimenticare quelli che restano ancora da fare. «Lo Stato sta vincendo questa battaglia, ma non ha ancora vinto – dice – La lotta è lunga e difficile e non si può abbassare la guardia». Anche con l’aiuto delle altre istituzioni, non sempre dalla parte giusta. «Gian Carlo ha pagato duramente il suo impegno – aggiunge Salvi – Perché in più occasioni gli è stato impedito di avere quello a cui avrebbe avuto diritto». Nello specifico, il ruolo di procuratore nazionale antimafia.

Ma è proprio Caselli a ripercorrere le tappe che lo hanno portato fin lì. Quando, dopo la carriera all’antiterrorismo al Nord, decide di andare in Sicilia. «Prendere il posto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino faceva tremare le vene. Ero già sotto scorta, ma Palermo era tutta un’altra storia. Ero libero solo di respirare, tutto il resto andava discusso», racconta il magistrato. L’atmosfera non era poi delle migliori, con un ufficio diviso e saturo di veleni. «Per produrre e sopravvivere si poteva solo guardare avanti tutti insieme». Attraverso il caso di Giulio Andreotti e molti altri meno noti ma altrettanto importanti, la carriera di Caselli lo ha riportato a Torino, dove la sua famiglia ha sempre vissuto. «Oggi c’è ancora un nodo mafia-politica che il nostro Stato non sa affrontare», commenta il magistrato. Non l’unica nota amara a cui si abbandona. «Vorrei credere che l’Italia delle regole sia ancora maggioritaria, ma inizio ad avere dei dubbi – conclude – Vedo sempre vincere chi delle regole non ha bisogno».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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