Casa Felicia Impastato torna alla famiglia Badalamenti  L’associazione: «La storia sembra quasi che si ripeta»

Sono passati quarant’anni ma la storia sembra quasi ripetersi. A rievocare il passato della famiglia di Peppino Impastato, il giornalista morto ammazzato per mano della mafia, e a coinvolgere ciò che è rimasto della sua memoria è la vicenda legata a Casa Felicia, l’immobile confiscato a Gaetano Badalamenti, boss di Cosa Nostra e mandante dell’omicidio di Impastato. Che, adesso, attende solo il completamento della procedura di restituzione per tornare nelle mani dei Badalamenti. Assegnata nel 2010 al Comune di Cinisi dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati, Casa Felicia a gennaio del 2021 viene data in gestione all’associazione Casa Memoria Impastato per la realizzazione di eventi culturali a cui partecipano centinaia di giovani. Adesso però, dopo più di dieci anni da quando l’immobile è del Comune, la confisca è stata revocata per un errore commesso al momento in cui è stata disposta. 

Per l’associazione si tratta di «errori tecnici o burocratici» che non cambiano la sostanza di quello che fu il potere mafioso di Gaetano Badalamenti nel territorio di Cinisi, simboleggiato anche dal suo patrimonio. «Un errore a monte (quello che ha portato alla confisca, ndr) – sottolinea a MeridioNews Luisa Impastato, nipote di Peppino – che non ha impedito che in quel bene venissero spesi fondi pubblici per la ristrutturazione». Nel 2021, infatti, quando il casolare fu assegnato all’associazione, è stato ristrutturato con 370mila euro di fondi europei. «La storia sembra ripetersi, stiamo prendendo in mano questa battaglia perché non vogliamo che il bene vada a Badalamenti – spiega un’attivista al nostro giornale – e vorremo continuare a utilizzarlo come centro culturale destinato alla collettività». 

Il 25 febbraio l’ufficiale giudiziario si è presentato a Casa Felicia insieme a Badalamenti per impossessarsi dell’immobile, ma la procedura di restituzione è stata rinviata al 29 aprile per problemi di natura tecnica. Un rinvio che, ha spiegato il legale di Badalamenti Christian Alessi, è avvenuto per tracciare «il confine tra il fabbricato oggetto dell’esecuzione e la restante parte dell’area confiscata». E che, a sostegno del suo assistito, ha precisato che «il procedimento di revoca della confisca è antecedente all’accordo di collaborazione tra il comune di Cinisi e l’associazione». 

Leonardo Badalamenti, già ad agosto del 2020, forte della pronuncia di revoca, aveva provato a entrare nell’edificio forzando le serrature. «Ma il Comune non aveva ancora ricevuto la notificazione e Badalamenti non aveva l’autorizzazione per accedere», sottolinea Impastato. Pochi giorni dopo viene arrestato dalla Dia su un mandato di cattura internazionale emesso nel 2017 dall’autorità giudiziaria di Barra Funda, in Brasile, per associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti e falsità ideologica. A maggio 2021 viene negata l’estradizione in Brasile, richiesta per l’esecuzione di una condanna a 5 anni e dieci mesi emessa dal Tribunale di San Paolo, per poi essere scarcerato. Uscito dal carcere, è cominciata una battaglia che rievoca i tempi più bui quando in onda andava Radio Aut e Cinisi si chiamava Mafiopoli

Mentre il sindaco Giangiacomo Palazzolo, già protagonista della battaglia contro Badalamenti figlio, pensa di ricorrere alla restituzione per equivalente – possibilità prevista dall’art. 46 del Codice antimafia per tutti i beni assegnati per fini istituzionali o sociali – che permetterebbe di mantenere il possesso del bene e dare a Badalamenti solo il corrispettivo al netto delle migliorie, la questione è destinata a occupare le aule di Montecitorio. «Se consideriamo cosa rappresenta il cognome Badalamenti per la città di Cinisi – sostiene a MeridioNews il deputato Francesco D’Uva che domani presenterà un’interrogazione sull’argomento rivolta al ministero dell’Interno -, restituire un bene simbolo della lotta alla mafia alla famiglia Badalamenti sarebbe davvero pesante». 

Gabriele Patti

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