Casa don Pino Puglisi, verso la riapertura Centro Astalli: «Aspettiamo le certificazioni»

Dopo anni di problemi burocratici e lavori di messa a norma la casa Don Pino Puglisi sembrava pronta per essere riassegnata al Centro Astalli di Catania, l’associazione che dà assistenza agli immigrati in città da circa 13 anni, e invece si dovrà ancora attendere. L’appartamento di 144 metri quadri e il deposito di 377 metri quadri, siti in via Delpino nel quartiere di Zia Lisa e confiscati nel 2002 a Nicolò Maugeri della cosca Santapaola, diventati casa di accoglienza dal 2006 al 2008, restano ancora chiusi perché mancano le certificazioni che riguardano l’agibilità e l’idoneità degli impianti di luce, gas e acqua. Un intoppo che per alcuni sarebbe la causa della rinuncia del bene da parte del Centro Astalli. Una notizia che però i suoi responsabili smentiscono con forza: «Saremo ben lieti di poter riavere il bene in comodato, purché, per gli aspetti che non vanno in deroga in quanto bene confiscato alla mafia, abbia tutte le certificazioni richieste dalla legge. Stiamo solo aspettando», dichiara Riccardo Campochiaro, legale del Centro.

Il bene confiscato alla mafia è stato assegnato la prima volta al Centro Astalli nel 2006. Il Centro ha dovuto sostenere le spese per trasformarne i locali che erano in uno stato fatiscente per poterlo utilizzare come casa di accoglienza, dato che il Comune non aveva i fondi per sobbarcarsi le spese di adeguamento. Così è nata la Casa di accoglienza Don Pino Puglisi, in cui nel 2008 sono stati ospitati trenta richiedenti asilo che, dopo una permanenza di quattro mesi, hanno ottenuto il permesso di soggiorno.

Un progetto sperimentato con successo, che è finito dopo una visita ispettiva dei Nas, dalla quale è emersa la necessità di un’ulteriore messa a norma dell’immobile. Da allora, dal gennaio del 2009, la casa accoglienza è stata chiusa, il comodato d’uso gratuito stipulato con il Comune della durata di tre anni è scaduto e il Centro Astalli ha seguito le vicende burocratiche del bene nella speranza di poterlo avere riassegnato. Dopo più di tre anni, numerosi intoppi e lentezze burocratiche i lavori edili utili a trasformare lo stabile in una casa di accoglienza a norma, finanziati dalla Regione, sono stati eseguiti, ma le certificazioni a corredo non sono ancora arrivate.

Visto come sono andate le cose la prima volta, i gestori del Centro adesso non vogliono ripetere gli stessi errori. «Vorremmo usare il bene per fornire un importante servizio alla città e agli immigrati e vorremmo farlo avendo le necessarie garanzie sull’immobile per poter cominciare a lavorare con serenità e costanza», conclude l’avvocato.

Redazione

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