Un ergastolano viene trasportato dal carcere al tribunale. Durante il tragitto, un commando armato attacca il furgone dove viaggiava l’uomo e lo libera. Nella sparatoria restano feriti due agenti «e per fortuna nessun cittadino». È successo a Varese a inizio febbraio ma, ricordano i sindacati della polizia penitenziaria, potrebbe succedere ovunque. Un problema dovuto principalmente alla carenza di organico, ma a cui in Sicilia si aggiunge l’inadempienza del provveditorato dell’amministrazione penitenziaria regionale in ritardo di un anno sull’applicazione del nuovo modello organizzativo nazionale. Tra incontri, richieste e rapporti non sempre distesi, le sigle sindacali hanno deciso di interrompere la trattativa e minacciano lo stato di agitazione se non riceveranno risposte entro 15 giorni a partire da oggi.
Tutto comincia nel 2012 con un nuovo decreto del ministero. Il documento viene recepito a marzo del 2013 dal capo dipartimento che lo inoltra a tutti i provveditorati regionali affinché adeguino i propri modelli organizzativi. Ma dalla Sicilia tutto tace. A quasi un anno di distanza. La differenza principale introdotta dal decreto è la possibilità di «sostituire il personale specializzato solo con altro personale specializzato», spiega Armando Algozzino, segretario della Uil Pubblica amministrazione. E invece sull’isola si procede ancora con la turnazione degli agenti tra servizi all’interno delle carceri e quelli all’esterno, cioè il piantonamento e il trasporto dei detenuti. Sebbene non in tutti i nuclei.
Due mansioni diverse e con rischi differenti, con in comune la carenza di personale. «Anche all’interno degli istituti gli agenti sono in pochi, ma sono aiutati nelle operazioni di controllo da sistemi come gli allarmi e le videocamere – continua Algozzino – Fuori, invece, sei in difficoltà. E, se dovesse succedere quello che è successo a Varese, a rischio non c’è solo il personale: ma anche i detenuti trasportati e i cittadini». Per la sicurezza di tutti, spiega il sindacalista, sarebbe meglio scindere le due figure e permetterne la specializzazione. Come d’altronde previsto dal nuovo decreto. «Considerato l’attuale depauperamento, la nostra proposta è di mantenere nei nuclei esterni il personale già trasferito e richiamare quello specializzato».
Un modo per aumentare anche le unità disponibili, necessarie in Sicilia e a Catania, come «a Piazza Lanza, dove gli agenti sono 95 anziché 180». Un’emergenza nazionale, spiega Algozzino, ma che ha anche una sfumatura regionale. «La Sicilia da diversi anni non riceve più personale e lo manda al Nord, che è pure carente di organico, ma quello dell’isola si è pian piano andato a ridurre per effetto di pensionamenti naturali e per malattia, e delle morti, tra cui purtroppo anche suicidi – spiega il sindacalista – E poi la tipologia di detenuti ristretta in Sicilia è diversa da quella del Nord. Dove è vero che vengono mandati i grandi boss, ma le squadre di questa gente resta da noi».
Adesso la questione è passata interamente al provveditore regionale con cui i sindacati hanno interrotto ogni rapporto, in attesa di una risposta precisa. «Io mi preoccupo più che altro dei cittadini che sono spesso ignari – conclude Armando Algozzino – Noi lavoriamo per l’amministrazione, che però non ci mette in condizione di operare per la sicurezza dei cittadini, dei trasportati e di noi stessi».
[Foto di Polizia penitenziaria]
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