«Non ho capito bene cosa stesse facendo, se stesse colpendo mio figlio o altro, e quindi gli ho sparato». Sono le parole con cui Camillo Leocata, il 69enne che domenica scorsa ha esploso un colpo di pistola calibro 38 contro Sebastiano Grasso, 43enne carabiniere libero dal servizio e come lui presente nella chiesa di Santa Maria Ammalati per partecipare alla prima comunione del figlio. Nel caso di Leocata a ricevere il sacramento è stato il nipote. Quattro giorni dopo, Leocata si trova rinchiuso in una cella del carcere di piazza Lanza, con l’accusa di tentato omicidio e porto d’arma da sparo, mentre Grasso continua la riabilitazione all’ospedale Cannizzaro, sperando di riuscire a recuperare la completa funzionalità degli arti dopo che il proiettile lo ha raggiunto alla sesta vertebra cervicale.
Martedìil gip Andrea Castronuovo ha convalidato l’arresto effettuato nell’immediatezza dei fatti dai carabinieri, escludendo la possibilità di applicare la custodia cautelare ai domiciliari, per via dell’atteggiamento violento dimostrato da Leocata ma anche per i rapporti pessimi che intercorrono tra la propria famiglia e quella della ex nuora. All’origine del tentato omicidio, infatti, c’è stato l’ennesimo litigio scaturito da un motivo più che futile: le lamentele della donna per non avere avuto assegnato un posto nei primi banchi della chiesa, a differenza di quanto era spettato all’ex marito e figlio di Leocata.
Ed è stato proprio sulla scia di questo nervosismo che Leocata, nel corso della funzione religiosa, ha deciso di allontanarsi per andare a casa e armarsi. Dieci minuti. Il tempo necessario a recuperare la pistola e tornare davanti al sagrato. Una scelta fatta, scrive il giudice nell’ordinanza di custodia cautelare, «in mancanza di una situazione di pericolo o di un’aggressione in atto». Lo scontro, infatti, sarebbe avvenuto soltanto dopo, all’esterno della chiesa. Ma Leocata, nel cui passato ci sono precedenti per porto abusivo d’armi e rissa, avrebbe deciso di arrivarci preparato, «nell’ipotesi – sottolinea il gip di un eventuale aggravarsi della contrapposizione tra i gruppi familiari, con lo scopo di uccidere o, quantomeno, rappresentandosi alternativamente la morte o il ferimento della vittima».
Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, Leocata si è detto sconfortato dal sapere di avere ferito una persona che con quella lite non c’entrava nulla. Il 43enne carabiniere, infatti, era intervenuto per separare i contendenti. «Ho visto mio figlio e una persona che – non ho ben compreso in quel momento – tentava di separare o spingeva», ha messo a verbale Leocata. L’uomo, tuttavia, è accusato di avere tenuto un comportamento violento anche subito dopo lo sparo: «Ha tenuto in mano la pistola nonostante i carabinieri presenti gli avessero intimato più volte di metterla giù», si legge nell’ordinanza. A dimostrazione di come la decisione di esplodere il colpo sia stata presa in un momento in cui l’area davanti la chiesa fosse affollata, tra parenti dei bambini e forze dell’ordine presenti per quello che doveva essere un servizio di routine. A disarmare il 69enne è stato il figlio «con un gesto repentino».
L’ultimo dettaglio di una storia che ha segnato tutti i presenti riguarda la sproporzione tra il gesto di Leocata rispetto alla lite che coinvolgeva il figlio. «Dagli atti risulta che nessuno dei partecipanti alla rissa stesse brandendo o fosse comunque in possesso di armi o oggetti atti a offendere», si legge nell’ordinanza. I legali del 69enne, gli avvocati Enzo Mellia e Michele Pappalardo, al momento preferiscono non commentare. «Vogliamo prima studiare il fascicolo, solo dopo si valuterà l’opportunità di presentare ricorso al tribunale del Riesame», chiosano.
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