«Direttore no buono! Direttore no buono!». È stato per ore lo slogan scandito dagli ospiti del Centro per richiedenti asilo di Mineo, durante la protesta che nei giorni scorsi li ha portati a bloccare il traffico sulla strada statale Catania-Gela. Dietro quelle tre parole c’è la stretta sulle regole all’interno della struttura che ospita migliaia di migranti. Niente più mercatini abusivi e fine della possibilità di cucinare dentro le abitazioni. Due regole che se violate, come ha annunciato il procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera, potrebbero portare i trasgressori verso l’avvio delle procedure d’espulsione dall’Italia. A intavolare le trattative con i migranti è stato il commissario prefettizio Giuseppe Di Natale. Insieme a Giuseppe Caruso si occupa da mesi della gestione del Cara per conto dello Stato dopo lo scandalo dell’inchiesta Mafia Capitale e le indagini sull’appalto da 100 milioni di euro, ormai prossimo alla scadenza.
Partiamo dalla genesi. I migranti che bloccano la strada statale Catania-Gela, le richieste di non chiudere i mercatini abusivi e di ottenere pasti di qualità migliore. In mezzo pure la notizia, falsa, di una fantomatica richiesta di avere una piscina dentro la struttura. Ci spiega cos’è successo?
«Le regole che riguardano i divieti di allestire mercatini abusivi non sono solo per Mineo, ma comprendono tutto il territorio nazionale. Discutevamo del rispetto di questi dettami da un paio di mesi e devo dire che si sono tentate anche delle mediazioni. La protesta in questione è rientrata quasi subito e due giorni fa abbiamo avuto una ulteriore riunione molto approfondita in cui gli ospiti hanno manifestato le loro esigenze. Noi come Stato siamo qui per accogliere e quando si tratta di richieste legittime siamo ben lieti di portarle avanti. Sono stati chiariti alcuni punti e non si può tralasciare il fatto che le regole devono essere rispettate sia per chi è accolto, ma anche per chi accoglie. In uno scambio assolutamente alla pari».
La protesta è stata pacifica, segno che c’è la volontà di venirsi incontro in qualche modo?
«La stragrande maggioranza degli ospiti è fatta da persone che capiscono, anche se devo dire che l’altro giorno c’è stata una escalation abbastanza immotivata, in cui sono girate pure false informazioni. Non c’è stato però mai un episodio di violenza, in un clima certamente teso ma assolutamente pacifico. Abbiamo ripreso il controllo e siamo rientrati nella struttura senza l’ausilio della polizia, trovando delle soluzioni».
Di che tipo e in che modo?
«Gli ospiti hanno, in un percorso condiviso, accettato la dismissione di questi punti vendita. Ci sono altri problemi, è vero, e stiamo lavorando per superarli. Il processo che è iniziato rappresenta un nuovo inizio per questa struttura che non dovrebbe sfociare in questi momenti eclatanti che portano solo a fasi di tensione».
Come avete dialogato con i migranti?
«Il giorno successivo alla protesta è stata fatta una riunione con tutti i rappresentati, ma si è trattato di un faccia a faccia eccessivamente lungo dove ognuno voleva parlare. Il giorno dopo sono stati bravi ad avanzare e sintetizzare le loro esigenze attraverso un foglio scritto, consegnato da un singolo esponente. Abbiamo parlato e, seppure la riunione sia durata tre ore, si è giunti a una soluzione».
Durante la protesta ci hanno mostrato un piatto con una pietanza acquosa e si lamentavano in generale dei pasti con troppi carboidrati.
«Noi alterniamo sette menù diversi che vengono concordati con i rappresentanti delle varie etnie. Loro giustamente, o ingiustamente non saprei, dicono che c’è la presenza di quella pietanza. Io ho chiesto di farmi ulteriori richieste e sono ben lieto di mettere a disposizione dei prodotti ancora più specifici. Mi hanno detto che il riso ogni giorno gli provoca dei problemi, stesso discorso per la pasta. Noi facciamo dei verbali ogni settimana in cui si decide tutto. Nei loro confronti c’è uno strumento democratico di altissimo livello. Anche noi pranziamo in quella mensa e posso dire con certezza che ha standard molto elevati».
C’è anche la questione delle lungaggini per ottenere risposte sulle richieste d’asilo. A che punto siamo? Ci sono ospiti che da tre anni vivono dentro il Cara.
«È vero, sono esasperati dai tempi lunghi per i documenti, ma questo non dipende assolutamente da noi. Possiamo soltanto appoggiarli ma sono tanti e le commissioni hanno velocizzato comunque i tempi. Il vero nodo è quello dei ricorsi al tribunale, con i tempi ordinari della giustizia italiana, dove non esistono sezioni specifiche per l’immigrazione».
Considerati i numeri potrebbe essere proprio quest’ultima una soluzione?
«Il ministero sta lavorando in questa direzione. Sappiamo che c’è un’evoluzione in questo senso».
L’appalto è prossimo alla scadenza e il Cara continua a non godere di buona fama.
«C’è una reputazione che non corrisponde alla realtà e vi basterà farvi accreditare per vedere con i vostri occhi. Il nome Cara Mineo viene sempre associato a cose esterne, cose per le quali io sono qua, altrimenti non esisterei essendo entrato come amministratore dopo Mafia Capitale. Non c’entrano niente la gestione o i servizi del Cara».
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