Cara di Mineo, Matteo Salvini «accelera» lo showdown Direttore: «Semplicistico dire “tra 15 giorni chiudiamo”»

«Per il centro migranti più grande d’Europa, il Cara di Mineo, avvieremo la stessa procedura». Il ministro dell’Interno Matteo Salvini lo ha garantito due giorni fa, a margine della chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto, nel Lazio. Chiusura. Una parola che aleggia sul residence degli aranci da qualche mese. Ma non sarà una passeggiata di salute. E c’è differenza tra la sintesi degli slogan politici e i tempi dell’amministrazione. «Bisogna partire da un presupposto – spiega a MeridioNews il direttore del centro Francesco Magnano – il Cara di Mineo è il più grande d’Europa ancora oggi. Sarebbe estremamente semplicistico dire “tra 15 giorni lo chiudiamo”. Benché abbiano chiuso quello di Castelnuovo, mi sento di dire che non è così facile chiudere».  

In questo momento, il centro ospita 1357 uomini e donne. Ci troviamo dunque a un’incollatura dalla cosiddetta quota 1200. «È una clausola di salvaguardia fissata dal contratto di appalto – conferma il direttore del Cara – Tuttavia, non è detto che raggiunta quota 1200 si chiuda, perché non è detto che le aziende che operano all’interno siano disposte a chiudere. In quella condizione – va avanti Magnano – non ci sarà più il margine di profitto, e il ministero ha previsto questa opzione che, senza alcuna ammenda, potrà permettergli di dire che non è più il caso di tenere aperta una struttura così grande. Potrebbe essere la stessa prefettura a dirlo. Al momento, però, né dal ministero né dalla prefettura sono giunte richieste di estromissione degli ospiti, così come avvenuto nel Cara laziale». 

«Dal primo di ottobre a oggi sono uscite 600 persone – aggiunge – e tra chi è rimasto ci sono molti appellanti». Seguendo questo ritmo, la chiusura effettiva potrebbe portare via ancora diversi mesi. Gli appellanti sono coloro che hanno proposto appello dinnanzi alle decisioni della Commissione territoriale, struttura della prefettura che assegna i vari gradi di protezione. Ognuno di loro aveva già ottenuto il riconoscimento della ex protezione umanitaria, la cui disciplina è stata modificata dal recente decreto sicurezza. La conclusione dell’iter giuridico di ogni pratica potrebbe rivelarsi niente affatto breve. «La norma, per loro, non prevede più il diritto all’accoglienza negli Sprar – precisa Magnano – ma hanno un permesso di soggiorno. A mio avviso, è inimmaginabile che un cittadino straniero in attesa di un terzo grado di giudizio debba restare all’interno di un Cara, che è un centro per i richiedenti. Ma gli avvocati degli appellanti potrebbero resistere a una prospettiva di chiusura». 

Ma qual è il clima all’interno della struttura? Come vivono questa fase i migranti che, in quei 25 ettari, trascorrono le giornate? «Il clima è un po’ sommesso», ammette Magnano. E perché? «Perché tutti gli ospiti hanno la tv, hanno la parabola, sono informatissimi sull’aria che si respira». Ma è vero che, dall’avvio del nuovo appalto (scattato la notte del 30 settembre), i servizi del Cara sono peggiorati? «Quello attuale è un appalto ben diverso dal precedente – riflette a voce alta il direttore – ma nego in maniera veemente che i servizi non siano all’altezza. Abbiamo assistenti sociali, psicologi, avvocati, infermieri e medici a disposizione degli ospiti. Oltre che un corso di lingua e uno di informatica, accanto a quello di inserimento al lavoro». 

Dentro il residence, per altro, ci sono 44 persone che non hanno diritto alle misure di accoglienza. Che fine faranno? «Per intanto sono in casa, non sono uscite dal centro – chiarisce Magnano – stiamo lavorando a un accordo con l’arcidiocesi di Catania, con la comunità di Sant’Egidio, con la Caritas e con le diocesi di Caltagirone e di Piazza Armerina. Sicuramente non le metteremo in strada, su questo anche la prefettura è molto sensibile. Ad oggi nessuno è stato messo sulla strada». Quanto a domani, si vedrà. Nel momento di massima affluenza, il centro – aperto nel 2011 – ha ospitato fino a 4500 migranti. Ma quell’epoca, a quanto pare, sta per finire. 

E a farne le spese saranno anche i lavoratori delle cooperative che operano nel centro di accoglienza. L’introduzione del nuovo appalto ha già bruciato oltre 150 posti di lavoro rispetto alla situazione precedente. La chiusura farà il resto, in questo senso. Frattanto, nel volgere dei mesi, non sono mancate le proteste dei migranti che vivono al Cara. Le prime tensioni sono esplose alla fine di ottobre: alcuni ospiti si sono rifiutati di mangiare dopo aver scoperto che, nel nuovo contratto, anche il menù della mensa era cambiato: 80 grammi di pasta e polpette di vitello. A novembre i richiedenti asilo hanno poi occupato la sede stradale della Catania-Gela per lamentare il taglio dei ticket di viaggio utilizzati per muoversi all’esterno del centro di accoglienza. 

Marco Militello

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