Cara di Mineo, ancora una morte sospetta Il Centro Astalli: «Chiediamo chiarezza»

Anthony Yeboah aveva 22 anni. Ad aprile ne avrebbe compiuti 23 al centro di accoglienza di Mineo dove si trovava dopo essere venuto in Italia dal suo Paese, il Ghana. Ma Anthony è morto quasi una settimana fa all’ospedale di Caltagirone, forse per un ictus. «Abbiamo richiesto la sua cartella clinica per fare chiarezza – spiega Riccardo Campochiaro, avvocato del centro Astalli che seguiva il ragazzo nella sua pratica per la richiesta d’asilo – Ma al momento non l’abbiamo ancora ricevuta». Né miglior fortuna hanno avuto i responsabili del presidio medico della Croce rossa nel centro, a cui Anthony si era rivolto. «Anche noi aspettiamo la cartella clinica – dice Stefano Principato, commissario del comitato provinciale Cri catanese – Al Cara lavoriamo in un ambulatorio e spesso siamo costretti ad appoggiarci alle strutture territoriali per svolgere degli accertamenti sui pazienti». Cosa sia successo è ancora un mistero. Un caso che si aggiunge a quello del decesso di un altro ospite del Cara, il 36enne Mujahid Alì, morto lo scorso 14 novembre all’ospedale Ferrarotto di Catania, dopo un intervento d’urgenza al cuore. E a quello di Keita Abdoulaye, 27 anni, assistito sempre da Campochiaro, in coma dopo una lieve colluttazione con un altro migrante. «Da circa 15 giorni aspetto anche la sua cartella clinica», spiega il legale. Che – denuncia – non è stato nemmeno avvertito della morte di Anthony.

«Sono andato a Mineo per le normali visite ai miei assistiti – spiega l’avvocato – e quando l’ho cercato mi hanno detto che era morto». Campochiaro seguiva il ricorso del ragazzo a cui la commissione del Cara aveva respinto la richiesta di asilo politico. La prima udienza si sarebbe tenuta a settembre. «I suoi connazionali mi hanno detto che, dopo il rifiuto dell’asilo, Anthony aveva iniziato a bere e a fumare», continua il suo legale. Lo scorso venerdì mattina il ragazzo, accusando un malore, si rivolge ai medici del Cara. «Mi hanno spiegato che era ubriaco – racconta Campochiaro – e così è stato trasportato al pronto soccorso di Caltagirone». «Purtroppo nel nostro ambulatorio non era possibile fare gli accertamenti – conferma Principato – Anthony è stato in ospedale dalle 14 alle 17 e poi è stato dimesso». Da lì, senza nessuna novità sul suo stato di salute, viene riportato al Cara. Ma l’indomani sta di nuovo male. «Stavolta già dalla visita i nostri medici hanno riscontrato dei problemi neurologici – continua il commissario Cri – e così il ragazzo è stato riportato al pronto soccorso, a Caltagirone. In serata è arrivata la notizia della morte». Forse per un ictus, secondo le prime indiscrezioni. A soli 22 anni. A dare la notizia alla famiglia è la stessa Croce rossa, «con l’aiuto di un interprete, per essere sicuri di utilizzare le giuste parole in un simile momento».

Un caso che segue di pochi mesi quello di un altro ospite del centro di Mineo, Mujahid Alì, il 36enne pakistano deceduto lo scorso 14 novembre. «Era stato dal medico appena tre giorni prima e gli avevano detto che andava tutto bene. Poi una mattina s’è svegliato piangendo per il dolore e in poche ore è morto», raccontava Saphir, un suo amico. Secondo lui e i suoi connazionali, l’assistenza medica prestata nel centro – modello, definito di recente una prigione a cinque stelle –  è insufficiente. «Noi ci rendiamo conto che la Croce rossa lavora con la carità, ma qui ci sono persone gravemente ammalate», diceva. «Al Cara ci sono sempre due medici, gli infermieri e i soccorritori – risponde Principato – ma la struttura non è certo quella di un ospedale». Come Anthony e Mujahid, ad essersi rivolto alla postazione medica del centro era stato anche Keita Abdoulaye, 27 anni, del Mali, dopo una colluttazione con un altro ospite. «Da quello che mi è stato riferito, si è trattato di una lite banale – dice Campochiaro – Di cui nessuno dei due portava segni evidenti». Tanto che a Keita, portato al pronto soccorso di Caltagirone, è stata data una prognosi di un giorno. Tornato al Cara, però, il ragazzo continuava a stare male. Fino a quando non è entrato in coma.

Due casi che l’avvocato Campochiaro aspetta di chiarire con le cartelle cliniche dei suoi clienti. Attese anche dalla Croce rossa. Il legale, intanto, si è messo in contatto con la famiglia di Anthony Yeboah, nel caso in cui i genitori fossero intenzionati a sporgere denuncia per la sua morte. «Al momento non ci sono elementi per dire che il suo decesso sia stato causato da negligenza. E anche questi tre casi, su una popolazione del Cara di duemila persone, non mi sembrerebbero eccessivi – conclude – Se non fosse che qui stiamo parlando di una media d’età molto bassa».

 

[Foto di antonello_mangano]

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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