Un patrimonio da dieci milioni di euro riconducibile all’imprenditore agricolo paternese Rosario Di Perna è stato sequestrato dalla Direzione investigativa antimafia di Catania. I beni sequestrati consistono in diversi rapporti bancari in corso di quantificazione, 8 automezzi, due aziende – la Difruit srl di Paternò che opera nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli e la ditta individuale di colture agrumicole Di Perna Calogero -, 20 fabbricati e 48 appezzamenti di terreno nei Comuni di Paternò, Belpasso, Biancavilla, Ramacca, Floresta e Patti (in provincia di Messina) per una estensione totale di oltre 50 ettari.
Rosario Di Perna nel marzo del 2015, assieme al figlio Calogero e ad altri indagati di nazionalità romena, è finito in carcere nel corso dell’operazione Slave. L’imprenditore, secondo gli investigatori, aveva costituito un’associazione che reclutava manodopera romena per l’impiego nelle campagne paternesi, in assenza delle garanzie minime di tutela dei lavoratori. Da violenze e minacce, implicite ed esplicite, a reati di estorsione: il cosiddetto caporalato. Per questo la Dia etnea ha svolto precisi accertamenti patrimoniali non solo sul conto del 61enne imprenditore, ma anche sulle attività riconducibili ai familiari, in primis al figlio Calogero, titolare di un’impresa e cointeressato in una società inserita nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli. Gli accertamenti patrimoniali sul padre, Rosario, hanno evidenziato l’assenza di risorse lecite idonee a giustificare gli investimenti effettuati e, nel contempo, una cospicua e generalizzata sproporzione tra i redditi dichiarati e il patrimonio posseduto.
I dettagli che hanno portato al sequestro dei beni dell’imprenditore sono stati illustrati questa mattina, nelle sede della Dia di Catania, dal direttore Renato Panvino, il quale si è soffermato sulle condizioni disumane in cui vivono i braccianti romeni. «Le vittime venivano collocate in alloggi di fortuna, privi delle condizioni minime di abitabilità come acqua corrente, energia elettrica, servizi igienici e riscaldamento – racconta Panvino – Una giornata lavorativa si aggira tra 12 e 15 ore giornaliere per 25 euro; il soggiorno in queste baraccopoli costava giornalmente al bracciante romeno 5 euro e altre somme venivano decurtate dalla paga giornaliera per l’acquisto dei beni di prima necessità». Nell’ambito dell’operazione Slave furono arrestate nove persone, quasi tutte provenienti dalla Romania, accusate di appartenere alla stessa associazione a delinquere dedita al capolarato. Di Perna, ritenuto elemento a capo dell’organizzazione, annovera tra l’altro condanne per truffa all’Inps, furto continuato e usura, per i quali era già stato arrestato in passato.
«Il caporalato s’è incancrenito ormai da tempo nei nostri territori. Adesso, però, esiste una legge per combattere i nuovi negrieri delle campagne, un formidabile strumento in più per punire loro e sottrarrei patrimoni accumulati con lo sfruttamento di migliaia di lavoratori». Ad affermarlo i segretari generali di Uila e Uila Sicilia, Stefano Mantegazza e Nino Marino, riferendosi alla più recente normativa antimafia che ha introdotto il capolarato tra le fattispecie di reato per cui sono possibili indagini mirate ad aggredire un matrimonio illecito. «Questo provvedimento patrimoniale costituisce uno dei primi esempi di applicazione di una norma, approvata solo lo scorso anno, che la Uila da anni propone e sollecita. Adesso come allora – concludono Mantegazza e Marino – riteniamo che il frutto del lavoro nero avvelena i lavoratori, le imprese, la società. Ma ribadiamo anche alle imprese la nostra disponibilità al dialogo per avviare un percorso virtuoso che vada al di là dell’attività di repressione, pure necessaria. Per questo rilanciamo l’idea di un marchio di qualità ZeroCaporalato e ricordiamo il numero verde 800974263 della Uila Catania, attivo ormai da anni».
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