«Non te lo vorrei dire ma lui è il numero uno, non ce n’è per nessuno: è troppo abile». Lui è Antonino Li Causi (detto Ciccio), palermitano classe 1968. Arrestato, insieme ad altre 15 persone, e finito in carcere ieri con l’accusa di essere al vertice di una delle due organizzazioni criminali dedite al contrabbando di sigarette tra Palermo, Trapani e Napoli. Una posizione apicale che, stando a quanto emerso dalle conversazioni intercettate nel corso delle indagini, a Li Causi sarebbe stata riconosciuta innanzitutto dai suoi stessi sodali. «Abbiamo parlato con il capo – dice di lui Mongi Ltaief, 53enne di origine tunisina residente a Marsala, ritenuto il capo dell’organizzazione nel Trapanese – Quello che dà a tutti. È lui che comanda a tutti. Non so quanti magazzini, quanti operai […] Tutti quelli che vendono devono andare da lui, altrimenti non vende nessuno. Non ci si mettono contro».
Meglio amico che nemico, insomma. Anche perché, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Li Causi si sarebbe occupato praticamente di ogni cosa, ma soprattutto di impartire le direttive sulle modalità di stoccaggio e di distribuzione dei tabacchi lavorati esteri di contrabbando. Ai suoi due figli – Gaetano (detto Turo), che è finito in carcere come il padre, e Caterina, per cui sono stati disposti gli arresti domiciliari – avrebbe assegnato un portafoglio clienti, tenendo per sé una parte di clientela. E suo sarebbe stato pure il compito di reclutare i sodali. Puntuale nei pagamenti dei compensi settimanali, Li Causi avrebbe preteso serietà, affidabilità e totale dedizione; al punto che, sotto l’avvertimento di essere sostituita, avrebbe imposto a una donna di non assentarsi né in gravidanza né subito dopo il parto. «Mio figlio uscito dall’ospedale, me ne sono andata a lavorare». È tra quelle cose su cui non riesce proprio a passare sopra la 34enne Giovanna Quartararo (detta Pacchiò), finita in carcere pure lei ieri. Anche perché la donna a lavorare era andata anche «incita di sette mesi e giorni. Io prendevo le casse (cariche delle sigarette di contrabbando, ndr), me le mettevo sulla pancia e gliele tiravo».
Arriva, però, il giorno dell’arresto di Antonino Li Causi (il 16 maggio del 2023). A quel punto, stando alle accuse, al suo posto – alla direzione del sodalizio criminale – sarebbe subentrato il suo degno erede, il figlio. «Gaetano, tuo padre non c’è, devi mettere qualche parola in più». Ad avanzare la richiesta, ad appena dieci giorni dall’arresto, è Quartararo, che vorrebbe l’appoggio di Li Causi junior in una discussione. Un diverbio con il compagno Gaetano Catalano (detto Budi) e con Gaetano Adelfio (detto Cinciullà), anche loro arrestati e finiti in carcere ieri, su una consegna da effettuare di sabato sera dopo le 20. Un sacrificio più che accettabile per lei che ha lavorato da incinta di sette mesi e perfino subito dopo avere partorito.
Ma Antonino Li Causi non dimentica la dedizione di quella donna, nemmeno dal carcere, da dove scrive una lettera con una parte tutta dedicata a Giovanna Quartararo. Ed è proprio lei a leggerla a voce alta davanti ai tre Gaetano (Li Causi, Catalano e Adelfio), mentre sono insieme in un locale che chiamano Agenzia. «Come sempre mi auguro che state tutti bene», scandisce la donna. Finita la parte dei convenevoli, la missiva cambia tono. Ed è a lei che si rivolge in un linguaggio criptico intriso di body shaming. «E brava, sei a dieta e mangi pasta con i ricci. Uno sgarro ogni tanto si può fare. Ma vedi di dimagrire un bel po’ prima di sgarrare, altrimenti fai sacrifici inutili». Secondo gli inquirenti, il riferimento di Li Causi sarebbe ai napoletani – il cui soprannome era Ricci e Capricci – con cui avrebbero fatto affari illeciti per il contrabbando. Stando alla tesi dell’accusa, infatti, Li Causi anche da detenuto avrebbe continuato a tenere le fila dell’organizzazione dando suggerimenti di gestione al figlio. E non consigli di dietetica alla donna.
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