Somiglia sempre più al gioco dell’oca il destino del cantiere navale di Palermo. A novembre, quando l’ultima delle quattro navi Msc sarà completata, il bacino più grande del Mediterraneo – 400mila tonnellate – resterà senza commesse mentre «Fincantieri sostiene di avere lavoro fino al 2025». E se gli altri stabilimenti nazionali continuano a produrre, «a Palermo la produttività non può aumentare perché il governo regionale ha ignorato la richiesta di completamento del bacino da 150mila tonnellate e la creazione di quello nuovo da 80mila».
A sollevare il paradosso sono i rappresentanti della Fiom, riuniti a Palermo per il coordinamento nazionale del gruppo Fincantieri. Presenti il responsabile nazionale Fiom Bruno Papignani, il segretario della Cgil Palermo Enzo Campo, il delegato Fiom del cantiere navale di Palermo Serafino Biondo e la segretaria della Fiom Cgil di Palermo Angela Biondi. «Come si può trascurare un settore come quello manifatturiero in una città come Palermo – si chiede Campo – che conta 10mila persone impiegate nei call center a 6-700 euro al mese, mentre si abbandonano gli stabilimenti di Termini Imerese o dell’Ansaldo Breda di Carini? L’incidenza del manifatturiero sul Pil italiano è del 20%, in Sicilia del 9%, a Palermo soltanto del 6%. Finora l’unico che ci ha dato ascolto è stato il sindaco Orlando – conclude Campo -, insieme al quale abbiamo chiesto un incontro presso il Mise. Chi è completamente assente, invece, è il governo regionale. Neppure da Confindustria si è levata una sola voce».
E pensare che nel 1998 lo stabilimento Fincantieri impiegava 3mila lavoratori diretti e 2mila dall’indotto, mentre adesso si parla complessivamente di 2mila lavoratori tra diretti e indiretti. «Ci sono finanziamenti europei già stanziati – sottolinea Biondi -, è l’ora di investire, non è vero che Palermo non è nelle condizioni di produrre. Le infrastrutture sono assolutamente necessarie. Intervenga anche il governo nazionale a farsi garante dell’equa distribuzione delle risorse. Non possiamo accettare la lenta desertificazione dell’apparato industriale palermitano». Già, perché, sostengono i rappresentanti della Fiom, mentre negli altri stabilimenti Fincantieri italiani ci sarebbe lavoro per altri dieci anni, «a Palermo e Castellammare di Stabia le commesse stanno finendo. È inaccettabile che si penalizzi il Sud in questo modo – attacca Papignani -. Abbiamo partecipato più volte alle riunioni con assessorati, commissioni e partiti ma sono riunioni finte, kafkiane, in cui non si sa mai chi decide».
«Chiediamo per questo – chiosa Biondo – di riprendere la trattativa sul rinnovo dell’integrativo aziendale e soprattutto un’equa distribuzione dei lavori su tutti gli stabilimenti del gruppo. Attualmente le aree dello stabilimento di Palermo sono quasi vuote. Altrimenti ci troveremo di fronte, ancora una volta, allo spettro della cassa integrazione».
«E’ incredibile l’incapacità del governo regionale targato Partito Democratico nel risolvere i problemi reali dei siciliani – dichiara Vincenzo Fumetta, segretario provinciale di Rifondazione Comunista Palermo -, a cominciare dalla crisi dell’ultima grande realtà produttiva della provincia di Palermo rappresentata dai cantieri navali. Il parlamento siciliano continua a giocare col fuoco, con le vite dei lavoratori e delle loro famiglie e non è assolutamente accettabile – continua Fumetta – che la maggioranza non trovi le risorse necessarie ad avviare i lavori per il nuovo bacino di carenaggio giudicato decisivo da Fincantieri per il mantenimento in esercizio dello stabilimento palermitano, e di conseguenza, dei livelli occupazionali sia dell’azienda che dell’indotto. In questa fase, occorre continuare a fare sentire la propria voce e per questo – conclude Fumetta – invitiamo i lavoratori dei cantieri e dell’indotto a scendere in piazza il prossimo 26 settembre e a unirsi alla manifestazione contro le politiche che il Pd porta avanti e che proprio in quei giorni organizzerà la sua festa dal titolo Il Sud decolla che, stando alla fotografia attuale della nostra terra, suona come un insulto vero e proprio».
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