Il tributo è una prestazione patrimoniale coattiva, consistente in beni in denaro o in natura, che deve essere corrisposta allo Stato o ad un altro ente pubblico, per effetto dell’esercizio della potestà impositiva da parte dello Stato o altro ente pubblico, per il soddisfacimento della spesa connessa ai bisogni pubblici. Questa la definizione della parola tributo che si trova in tutti i dizionari.
Si dà il caso che anche il canone Rai, come recita il patetico spot televisivo in onda in questi giorni, sia un tributo. Ma forse no. Non è forse un bisogno pubblico dei siciliani (oltre che un diritto) essere informati sulla rivolta che sta interessando la loro regione? Non è forse un bisogno (oltre che un diritto) sapere quali sono le ragioni pratiche e politiche di quella che di ora in ora somiglia sempre più ad una rivoluzione? Non è forse un bisogno (oltre che un diritto) sapere quali saranno le conseguenze dei blocchi stradali e del blocco delle raffinerie?
Evidentemente, per la Rai – che relega all’edizione regionale il compito di brevi servizi che tendono a ridimensionare la portata di una protesta le cui ragioni vanno ben al di là dello Stretto – no.
E allora, visto che non soddisfa i bisogni pubblici dei siciliani, qual è la ratio secondo cui bisogna pagare il canone?
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