Una targa in memoria delle donne morte «per mano violenta di chi diceva di amarle» era stata posta in piazzetta Dante Alighieri, nella periferia sud di Canicattini Bagni, appena due settimane fa. «Oggi siamo qui ad aggiungere la seconda donna a quella memoria», dice una signora visibilmente scossa. La donna a cui fa riferimento è Laura Petrolito, la 20enne canicattinese uccisa a coltellate e buttata in un pozzo in contrada Stallaini, zona di campagna fra le colline che sovrastano il centro del Siracusano.
Davanti alla caserma in via Vittorio Emanuele – dove per ore i carabinieri hanno interrogato il compagno di lei, Paolo Cugno, e altre persone che potrebbero essere a conoscenza di particolari utili alle indagini – si è creata una folla. Diverse decine di persone fra parenti, amici e conoscenti della coppia stazionano lì dall’ora di pranzo. Il padre di Laura non ha mai smesso di piangere. Qualcuno si appoggia al muretto di Villa Alagona – struttura di proprietà del Comune usata per finalità sociali -, altri stanno attenti a carpire qualsiasi movimento all’interno della recinzione militare e a catapultarsi davanti al cancello quando entrano ed escono macchine di servizio o uomini dei carabinieri.
Il clima, ogni tanto, si fa teso fra chi vuole vendetta e chi cerca giustizia. Sono tutti in attesa che il giovane, nei confronti del quale la procura di Siracusa ha aperto un fascicolo con l’accusa di omicidio, venga portato fuori: «Non è giusto che non ci dicano nulla di quanto sta accadendo là dentro», dice a voce alta un signore visibilmente adirato. I militari intervengono per calmarlo. Intanto, dietro un pannello per la cartellonistica che si trova dirimpetto alla caserma, qualcuno ha sistemato delle grosse pietre. «Il timore – afferma un passante – è che vogliano tirarle al presunto assassino appena mette piede fuori dalla caserma».
La comunità di circa settemila anime si è fermata. Oggi c’era in programma la processione di San Giuseppe e la tradizionale vendita all’incanto dei doni offerti per le famiglie bisognose. Ma per le vie del centro a regnare è il silenzio, chi parla, lo fa a bassa voce. L’argomento è uno solo: Laura, che per tutti era Lauretta. Giovanissima mamma di due figli, dei quali uno avuto da una precedente relazione e che non viveva in casa con lei. «Qui ci si conosce tutti e non si riesce con facilità ad accettare che una notizia solitamente filtrata dalla televisione adesso abbia come protagonista una ragazza che ho visto crescere e diventare donna e madre forse troppo velocemente», afferma una vicina di casa.
Il pensiero va subito al bambino piccolo, figlio di Laura e Paolo. «Lo teneva spesso in braccio e proprio qualche giorno fa era venuta qui davanti a mostrarmelo, orgogliosa», racconta un parente che non fa mistero dei problemi relazionali che la coppia aveva da un po’. «Stavano insieme da molti anni, ma i problemi non erano mai mancati. Litigavano spesso anche furiosamente, tanto che c’è stata una sera in cui li ho sentiti da casa mia», ricorda un altro signore che vive nella stessa strada – la via Roma, che si trova nella parte alta di Canicattini Bagni – dove Laura era andata a vivere con il compagno e i genitori di lui.
«Suo padre, che l’aveva cresciuta da sola dopo che la madre era andata via di casa, quando Laura era ancora una bambina. Stravedeva per lei», dice un giovane che conosce la famiglia. Intanto la pagina Facebook della ragazza comincia a riempirsi di messaggi, di foto, di ricordi. In molti a Canicattini hanno condiviso sulla propria bacheca uno degli ultimi post pubblicati da Laura: «Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, mettiti le mie scarpe, vivi il mio dolore, i miei dubbi, cadi dove sono caduta io e soprattutto prova a rialzarti come ho fatto io».
A qualcuno in paese, il pensiero torna a Maria Ton l’infermiera 36enne di origine rumena uccisa a coltellate dal marito quattro anni fa. «A sole due settimane dalla cerimonia organizzata in ricordo della giornata internazionale della donna – afferma una canicattinese – ci ritroviamo a dover fare di nuovo i conti con la consapevolezza che le targhe non servono a nulla se non si accompagnano a concrete azioni di sensibilizzazione e a una maggiore presa in carico da parte dei servizi sociali di situazioni come queste».
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