Campo rom Zia Lisa, insieme topi e bambini L’assessore: «Né sgombero né comodità»

Il topo che attraversa il sentiero in terra battuta che conduce al campo rom di Zia Lisa non ha fretta. Sbuca da una delle montagne di rifiuti che danno il benvenuto all’ingresso della baraccopoli in via Madonna del Divino Amore. Il grosso ratto si muove lentamente, si ferma in mezzo alla stradina per una decina di secondi, prima di raggiungere la sua meta: un altro ammasso di rifiuti a ridosso delle prime baracche del campo. Non ha paura degli uomini. Perché con gli uomini ci convive da anni, tutti i giorni. Fianco a fianco. Soprattutto con i più piccoli. «Al campo rom di Zia Lisa è in atto una grave situazione igienico sanitaria, si notano morsicature di ratti in alcuni bambini, le cui baracche sono a ridosso dei cumuli più estesi di rifiuti». È quanto si legge nella relazione che il Comune di Catania redige ogni mese sulla situazione degli accampamenti rom in città. Parole messe nero su bianco nell’agosto del 2011, poi ancora a settembre, e ad ottobre. Cioè nelle ultime relazioni disponibili.

Per rendersi conto delle condizioni agghiaccianti del campo adiacente al cimitero, nella zona sud di Catania, bisogna entrarci. Dalla strada è invisibile, perché è cresciuto all’interno di una grande depressione delimitata, dalla parte opposta dell’ingresso principale, dal torrente Acquasanta. Vivono qui 55 nuclei famigliari (per il Comune sono 41) con una popolazione di circa 150 – 170 persone. Nessuno lo sa con certezza. I bambini sono una quarantina: 18, in età scolare, frequentano gli istituti Livio Tempesta e Caronda. Gli altri giocano per lo più all’interno del campo dove manca l’acqua, l’elettricità arriva dai generatori di corrente e il bagno è una tavola dentro una casupola di legno. L’odore è insopportabile. Per lavarsi, cucinare e pulire usano grandi boccioni di plastica che gli uomini ogni mattina si curano di riempire in qualche fontana della zona.

L’ingresso del campo è una discarica a cielo aperto: rifiuti organici, plastica, materiale ingombrante, elettrodomestici dismessi. «Sono gli stessi rom a portarli qui, perché poi in parte li riusano» denuncia Nunzio Russo, presidente della municipalità San Giuseppe La Rena – Zia Lisa, che se potesse li manderebbe tutti via gli abitanti del campo. «Vengono a scaricarli di notte con i camion, mentre dormiamo», replicano i rom. «Non mi piace certo vedere i miei figli giocare nella spazzatura» aggiunge una mamma. La verità, secondo gli operatori della Caritas che ogni giorno entrano nel campo, sta nel mezzo. «È vero che qualcuno viene a scaricare qui i rifiuti approfittando del buio – spiega Salvo Pappalardo, della Caritas – ma capita anche che siano gli stessi rom a portare materiale come il ferro vecchio, perché molti vivono di questa attività». Il Comune è consapevole della situazione e lo scrive nelle già citate relazioni. «Il campo presenta scarse condizioni igieniche; infatti, nella parte interna sono presenti cumuli di rifiuti prodotti dagli insediati e inoltre, a quanto riferito dagli stessi, gli autoctoni utilizzano l’area come discarica per materiali di risulta».

Dal 8 giugno del 2010, dopo il rinvenimento del cadavere di un trentacinquenne tunisino nel Palazzo delle Poste, il Comune di Catania ha costituito il Presidio Leggero, un servizio di prossimità, «una presenza diradata, costante e puntuale» di operatori pubblici insieme a privati sociali come Caritas, Comunità di Sant’Egidio, Opera Nomadi, Croce Rossa, nei campi nomadi e nei luoghi di ritrovo per i senza tetto: il palazzo delle Poste, l’ex consorzio Agrario, i campi di Zia Lisa, San Giuseppe La Rena e viale Kennedy e gli insediamenti in corso Martiri della Libertà. In quello di Zia Lisa si alternando due operatori della Caritas. Salvo ogni giorno arriva in pullmino per portare i bambini a scuola, Domenico si occupa degli altri abitanti, a cominciare dalla visita settimanale di un medico.

Nel programma relativo proprio al campo di Zia Lisa, erano previsti «interventi di pulizia degli spazi antistanti con cadenza quindicinale e collocazione di cassonetti». Possibile che una quantità così importante di rifiuti si accumuli in appena quindici giorni? «La verità – spiega Salvo, l’operatore della Caritas – è che l’ultimo intervento di pulizia del Comune risale a quasi un anno fa». Sentito in merito, l’assessore all’Ambiente Claudio Torrisi ha annunciato che «dopo l’1 maggio si provvederà a una pulizia straordinaria». «Ma per quanto riguarda l’interno del campo – ha aggiunto – non possiamo fare niente perché è di proprietà di un privato». Il privato in questione ha promesso di bonificare l’area solo dopo che il Comune avrà sgomberato i nomadi. «Gli sgomberi non servono – replica l’assessore ai Servizi Sociali Carlo Pennisi – Da tempo stiamo pensando a un progetto di più ampio respiro che riguarda i quattro campi principali della città».

Una strategia rivista di recente, figlia del cambio al vertice del ministero dell’Interno. «Il ministro Cancellieri ha reimpostato radicalmente il problema, andando oltre la logica securitaria voluta da Maroni» spiega Pennisi. È in discussione con l’Unar, l’ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio, un protocollo che riorganizza i finanziamenti per la gestione dei campi nomadi anche a Catania. «Verrà firmato l’11 maggio», annuncia l’assessore Pennisi.

Ma la realizzazione di un campo di transito attrezzato, che rispetti le abitudini di vita dei nomadi ma che garantisca allo stesso tempo basilari requisiti igienico-sanitari, sembra ancora lontana. «Prima bisogna dipanare la matassa – precisa Pennisi – tra queste persone c’è chi può restare, chi deve tornare a casa, chi dovrebbe andare in galera. Solo quando avremo un quadro completo potremo parlare di un campo di transito, che tale deve essere, cioè i nomadi devono essere di passaggio». Il Comune, a breve, presenterà un Pon sicurezza per mettere a bando le attività di servizio, fino ad ora garantite dai privati sociali, e «andare oltre il volontariato».

Ma in attesa che tutti i tasselli del puzzle che compongono la strategia del Comune vadano al loro posto, è difficile definire da Paese civile le condizioni dei 150 abitanti del campo di Zia Lisa. «Garantire almeno l’acqua corrente? È escluso – sentenzia Pennisi – queste persone, al netto di problemi di tipo sanitario non devono stare comode. Anzi, devono stare scomode così è più facile che decidano di andarsene. L’assistenzialismo di molte associazioni caritatevoli non serve ed è pernicioso».

I topi ringraziano, i bambini un po’ meno.

Salvo Catalano

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