Cambiamenti climatici, il dibattito all’università «Si parla tanto di ambiente ma si fa troppo poco»

«All’università se ne parla ancora poco». Cristian è un giovane studente universitario, e non si aspettava certamente che toccasse a lui fare da avanguardia quando si è iscritto a Ingegneria. Eppure la tavola rotonda I cambiamenti climatici, all’interno dell’Edificio 9, alla fine si risolve in un dialogo tra (pochi) già consapevoli.  «Al momento su questo tema così essenziale qui ci sono stati solo alcuni seminari a partire da ottobre – dice Cristian, che fa parte del gruppo di Udu Scienze – Per questo abbiamo voluto incontrare chi si occupa del tema quotidianamente, dentro un sistema che non riesce a porre rimedio a se stesso».

«Il ruolo dell’università è fondamentale – sostiene Marco Grande, presidente Leaf – soprattutto se pensiamo che ci sono movimenti sul tema in ogni parte del mondo. L’università può essere un polo culturale e innovativo importante. Noi come associazione siamo nati nel 2014 e ci occupiamo di sviluppo sostenibile attraverso attività di divlgazione scientifica, cineforum e dibattiti. Nella nostra società purtroppo non c’è la capacità spesso di saper leggere i dati scientifici, ecco perché il ruolo del comunicatore è fondamentale. Misure come le pedonalizzazione o la ztl possono essere importante o vissute come un problema, ma manca a volte la capacità di far comprendere perché si attuano misure del genere». 

L’esempio dell’olio di palma, in questo senso, è emblematico: quello che era un passaparola  è diventato poi un boicottaggio di massa sulla scelta degli alimenti che lo contenenevano (e lo contenevano). Magari con qualche approssimazione e qualche allarmismo di troppo sui reali impatti salutari, e che però ha mostrato come le scelte individuali possono poi incidere a livello globale. Tanto per fare un esempio, in Indonesia il popolo ha smesso di deforestare il Borneo – la più antica foresta al mondo e la maggiore produttrice di olio di palma. «La battaglia ideologica l’abbiamo vinta parzialmente – sostiene Vanessa Rosano, presidente di Legambiente Palermo – Noi possiamo fare molto di più. La vera sfida è far acquisire un senso critico sulla provenienza dell’olio di palma, cioè per esempio quanto incide sulla deforestazione. Per esempio la barretta di cacao dell’equo solidale non è ambientalmente sostenibile. Si parla tanto di ambiente ma si fa ancora troppo poco. Quel che manca è proprio l’efficacia delle misure politiche che vengono deliberate».

Se da una parte, dunque, l’attenzione al tema del cambiamento climatico è presente, soprattutto nelle nuove generazioni (come dimostra l’esempio degli scioperi organizzati da Fridays For Future), dall’altra c’è ancora tanto da fare. Soprattutto perché il tempo a disposizione è poco, come spiega Renato Chemello, ecologo e professore presso il Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare, che è uno dei maggiori esperti in città sul tema. «Ho cominciato a parlare di cambiamenti climatici nel 1994 – dice Chemello – O, per dirne un’altra, si parla di rifugiati ambientali da 34 anni. Nel report del 2017 dell’Unhcr si parla di 230 milioni di persone che sono state costrette a spostarsi. Più che di cambiamento climatico è più giusto parlare di crisi climatica: il termine è chiaro ed è stato introdotto dall’ex vicepresidente Usa Al Gore, che su questo tema ha vinto recentemente il premio Nobel. E’ drammatico pensare che la Cop25 di Madrid, che doveva trovare soluzioni su questi temi, non ha prodotto alcun risultato. Nel 2040 si raggiungerà la cifra allarmante di nove miliardi di persone nel mondo: ebbene siamo in grado di stimare che la quantità di carbonio presente nel mondo non potrà reggere ulteriori aumenti di popolazione».

«La questione fondamentale – riflette Giulia Di Martino, portavoce della campagna Giudizio Universale – è più ampia e non riguarda solo il cambiamento climatico. Vale a dire che il mondo in cui viviamo non è sostenibile sotto tutti i punti di vista. Se non si fa un discorso anticapitalistico difficilmente si può fronteggiare un fenomeno così complesso come il cambiamento climatico».

Andrea Turco

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