Ebbene sì, sono tutte donne le magistrate in servizio al tribunale di Caltagirone, dove il termine «giudice» non pone alcun problema di genere. Una storia raccontata da 27esima ora del Corriere della sera. Che si tratti di processi penali o civili, a giudicare sarà sempre una donna, molte delle quali giovanissime, come ci spiegano Cristina Cilla, alla soglia dei 34 anni, assunta nel 2104, e la coetanea Cinzia Cicero, insediatasi il 10 maggio.
Stesso anno di nascita, stesso corso di studi e, infine, stessa sede giudiziaria. Si sono conosciute a Catania, dove hanno frequentato la facoltà di Giurisprudenza, laureandosi con il massimo dei voti. Poi due percorsi post lauream diversi in differenti città, per diventare entrambe magistrate, e la scelta di Caltagirone come prima sede giudiziaria. In un ambiente che si è rivelato sin da subito «una grande famiglia», racconta Cristina Cilla, giudice già a 29 anni, ma con un passato da avvocata, dottoressa di ricerca in Diritto civile a Messina e funzionaria al ministero della Pubblica istruzione. Una vera purosangue del diritto, insomma.
«Io sono arrivata da poco – dice Cinzia Cicero – ma si respira un grande affiatamento, soprattutto con la presidente della sezione civile Concetta Grillo, sempre disponibile e rassicurante». «Forse – prosegue – l’uomo riesce a mediare meglio in caso di contrasti, ma la donna è più determinata e disposta a sacrifici enormi in generale». Non a caso la percentuale di magistrate supera di gran lunga quella degli uomini, forse più interessati a raggiungere prima l’indipendenza economica. Magistrato, infatti, si diventa in media intorno ai 30 anni, ma in alcuni casi molto dopo. Tanto che spesso il momento della nomina coincide con quello in cui una donna decide di sposarsi o fare figli.
Una situazione di fatto che riguarda qualunque settore e mansione, ma che nel caso della magistratura pone notevoli problemi di organizzazione. «Non si tratta di una questione di genere – precisa Cicero – è un errore considerarla tale. Si tratta di un problema di organizzazione, non essendo sufficienti i supplenti disponibili, per cui dobbiamo sostituire chi si assenta anche per maternità». In effetti, se si considera che un ruolo, cioè il numero di processi affidati a ogni giudice, comprende più di mille fascicoli, si capisce cosa accade quando si ereditano anche quelli di una collega.
In realtà non sussiste nessun vuoto normativo, la supplenza è contemplata dall’ordinamento giuridico. Il problema è la carenza di organico: in tutto il distretto della Corte d’Appello di Catania, i sostituti distrettuali sono solo due. E a Caltagirone – a differenza che in passato – non sono arrivati, nonostante due giudici in maternità, non essendo ancora possibile richiederne l’assegnazione. Ciò nonostante il loro congedo sia già in corso. Ma le magistrate non si demoralizzano né rallentano. Anzi, per rendere ancora più armonioso il proprio lavoro hanno autofinanziato una stanza del benessere, presso la quale potersi interfacciare, rilassare o semplicemente recuperare le energie. «Un vero e proprio progetto attuativo – afferma Cilla – delle direttive sul benessere psico-fisico del magistrato, che ci auguriamo possa essere adottato anche da altri tribunali a livello organizzativo». Sarà che si tratta di una magistrata, ma come darle torto?
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