Il bullismo omofobico nel saggio di Dario Accolla «Ragazzi dicono frocio prima di averne visto uno»

«Il bullismo omofobico è un fenomeno molto complesso che nasce dalla costruzione linguistica del diverso». Ad affermarlo è l’autore del saggio dal titolo Omofobia, bullismo e linguaggio giovanile Dario Accolla. L’opera – edita dalla casa editrice catanese Villaggio Maori edizioni – nasce dalla duplice attività di insegnante e attivista dell’autore. Accolla, docente di lettere in una scuola italiana per stranieri a Roma, è un militante Lgbtqi e uno scrittore che punta a sensibilizzare sull’importanza civica e politica dei diritti che punta a ottenere la comunità a cui appartiene. E dei quali dice: «Non sono solo un problema dei cosiddetti froci ma si tratta di una questione di civiltà che dovrebbe interessare tutti, al di là dell’orientamento sessuale di ciascuno». 

Accolla, che ha già pubblicato un saggio per Aracne editore dal titolo I gay stanno tutti a sinistra e cura un blog per Il Fatto quotidiano, Gay.it e Pride, nell’ultima opera ha indagato il tema del bullismo omofobico. «Nelle scuole italiane il fenomeno del bullismo con o senza tratti omofobici è purtroppo molto presente», precisa Accolla. Che prosegue: «È un dato di fatto però che molti ragazzi tra i 15 anni e i 20 hanno messo fine alla propria vita dopo essere stati additati dai coetanei come omosessuali. E non è nemmeno detto che le morti provocate dalla follia omofobica abbiano fatto solo vittime omosessuali». La questione per Accolla è di natura linguistica, e spiega: «Si innesca quello che definisco un processo di costruzione linguistica del diverso. I ragazzi imparano a usare il termine frocio come un insulto prima di averne mai visto uno». E continua: «In questo modo si crea un meccanismo di anticipata presa di distanza dall’uomo nero e cattivo. Quando poi questo diverso e brutto si palesa, gli strumenti sono già pronti e subentrano insieme all’insulto, alla violenza fisica e psicologica». La conseguenza dell’atto è l’isolamento del diverso «così come avviene per i membri delle comunità rom o nera ma con la differenza – precisa Accolla – che il ragazzino gay, quando torna a casa, non ha nessuno a proteggerlo»

La questione per Accolla è sì linguistica ma anche culturale ed educativa. «Una volta – racconta Accolla – un mio studente mi ha confidato il disagio che viveva per essere stato additato quale omosessuale. Ho dunque spiegato alla classe che la parola gay non deve essere usata per offendere e insultare perché altrimenti anch’io sarei stato offeso e insultato». «Sicuramente molti di loro, nell’era della facile informatizzazione che viviamo, già sapevano di me anche perché non ne faccio mistero con nessuno ma è stato interessante il dibattito che ha seguito quell’episodio», ricorda Accolla. Che precisa: «Il mio attivismo e il mio lavoro sono due cose che tengo separate, ma i ragazzi a volte fanno domande alle quali bisogna dare risposte». 

Nel suo attivismo un momento importante è rappresentato dal primo Pride al quale ha partecipato, quello che si è svolto nella città di Catania nel 2000. Accolla, che aveva contribuito all’organizzazione dell’evento come volontario, qualche anno dopo consegnava alle stampe il saggio I gay stanno tutti a sinistra. Nell’opera sostiene l’importanza della corrente politica opposta alla destra, l’unica che curava le posizioni della comunità Lgbtqi in materia di diritti civili. «All’epoca sostenevo che tutti i gay avrebbero dovuto votare a sinistra ma erano altri tempi, era il periodo dei Pacs francesi e inglesi, e si sperava che qualcosa del genere potesse arrivare anche in Italia», commenta Accolla. Che spiega, invece, come la comunità Lgbtqi italiana sia stata «strumentalizzata e usata solo come fonte di voti da quella stessa sinistra in cui i Pacs sono diventati Dico e questi ultimi non sono diventati niente». E nonostante proprio nel capoluogo etneo si sia da poco ufficializzata la prima iscrizione nel registro delle Unioni civili di una coppia lesbica, per Accolla la misura non è ancora piena. «Ben vengano gli atti simbolici ma lo Stato italiano deve legiferare sul matrimonio tra persone dello stesso sesso così come avviene in Irlanda, negli Stati Uniti d’America, in Slovenia, in Francia e addirittura in Groenlandia». 

Uno strumento di sensibilizzazione è per l’attivista e scrittore proprio il Pride, mai scevro di polemiche. «Tutto l’anno la comunità Lgbtqi si occupa di combattere l’Hiv, di assistenza legale e psicologica. Il corteo è un pomeriggio di festa nell’arco di un anno, quante storie!», sbotta. E continua: «Gli estremismi del Pride sono una protesta politica e poi il nostro, rispetto a quello che si svolge negli altri Paesi, è un ritrovo di educande». «L’invito al corteo è sempre esteso anche agli etero – conclude – perché i diritti sono una questione di umanità e non di orientamento sessuale». 

Cassandra Di Giacomo

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