Bruxelles tra armi e ambasciate. Chi paga? Noi!

Nel 2003 cominciò a circolare la voce che l’Unione Europea intendeva dotarsi di una propria Costituzione. Alcuni politici, tra cui in primis Berlusconi, cercando di cogliere l’occasione per dimostrare ai propri elettori quanto erano bravi (e distogliere la loro attenzione dai problemi nazionali), promisero che la nuova Costituzione Europea sarebbe stata approvata entro i primi mesi del 2004.

Come è andata a finire con la stipula di questo documento (e con le relative promesse) è cosa nota. La proposta di adottare una Costituzione Europea è stata abolita e ci si è limitati a sottoscrivere, nel 2008, il Trattato di Lisbona. (a destra, foto tratta da pinomasciari.it)

Resta il fatto che l’Unione Europea, nata nel 1951 (allora si chiamava Comunità europea del carbone e dell’acciaio, CECA), come mero accordo di collaborazione economica, ha tentato, in diverse occasioni, di assumere un ruolo politico, senza tuttavia riuscirci. Forse a causa delle diversità culturali ed etniche, oltre che sociali ed economiche, il tentativo di alcuni di unificare non solo sotto il profilo economico i Paesi aderenti è fino ad ora fallito.

A non essere definitivamente svanita, invece, è la speranza di alcuni di realizzare l’Unione Europea ricorrendo a strumenti meno plateali ma, forse proprio per questo, più efficaci. Questi sforzi, però, al di là delle ripercussioni politiche che hanno provocato e provocheranno nei prossimi anni, comportano enormi sprechi di risorse economiche da parte dell’Unione Europea i cui organi, ovviamente, si guardano bene dal divulgare ai contribuenti.

A d esempio, come già fatto notare in un articolo alcuni mesi fa, la somma delle risorse “tattiche” (dal punto di vista del numero di soldati, di mezzi, armamenti e quant’altro) dei Paesi aderenti all’Unione Europea è enorme (e costa oltre 311 miliardi di dollari) e di gran lunga superiore anche a quella degli Stati Uniti d’America che, pure, occuperebbero il primo posto assoluto in una classifica globale delle maggiori potenze militari!

Ciò nonostante, nel luglio del 1999, l’Unione Europea ha deciso di dotarsi di un proprio corpo armato il cui mandato, modificato a gennaio del 2010, dovrebbe riguardare la “lotta al traffico di stupefacenti, al terrorismo, all’organizzazione clandestina di immigrazione, della tratta di esseri umani e dello sfruttamento sessuale di minori, alla contraffazione e pirateria di prodotti, al riciclaggio di denaro e alla contraffazione di denaro e di altri mezzi di pagamento”.

Nonostante la già palese sovrapposizione tra il mandato di Europol e quello delle polizie dei singoli Stati membri, il 5 giugno 2008 il Parlamento europeo ha adottato, a larga maggioranza, un testo che ha ratificato ufficialmente (ma senza diffondere la notizia come avrebbe dovuto) la creazione di Eurocorps, una forza permanente sotto il controllo dell’Unione.

Con Eurocorps il cui status a livello internazionale è stato ratificato con il recente trattato di Strasburgo, l’Europa della “difesa” è finalmente riuscita nel suo intento, dopo il fallimento del progetto Comunità europea di difesa (Ced) di sessanta anni fa, di creare un proprio esercito. Come se non bastasse, l’Unione Europea ha deciso nel 2004 di istituire l’Agenzia europea per la difesa e che ha il fine “di migliorare le capacità di difesa dell’UE, di promuovere la cooperazione europea in materia di armamenti, di rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea e creare un mercato europeo dei materiali di difesa che sia competitivo e di promuovere le attività di ricerca al fine di rafforzare il potenziale industriale e tecnologico dell’Europa in questo settore”.

In altre parole, l’Unione Europea, organismo pacifista costituito da Stati pacifici, da quasi un decennio, si è dotato, all’insaputa dei cittadini e contribuenti, di una struttura il cui scopo è quello di potenziare gli armamenti!

Per farla breve, e riservandoci di approfondire la questione in un secondo tempo, l’Unione Europea che professa la pace e la convivenza pacifica in tutto il mondo, negli ultimi anni si è dotata di un numero imprecisato di organismi armati (chiamarli di polizia o eserciti non cambia il fatto che sono organismi dotati di potenziale bellico). Oltre a quelli sopra indicati, infatti, esistono diversi organismi come Euromarfor, Eurogendfor (che tra l’altro ha sede centrale in Italia, a Vicenza, presso la caserma Chinotto – già il nome è tutto un programma), Eurocorps, Euor, Europol.

E questo con l’avallo dei Paesi che fanno parte dell’Unione Europea, Italia inclusa, che, avendo ratificato il Trattato di Lisbona, hanno recepito gli elementi del Trattato di Bruxelles con le clausole di difesa dell’Unione Europea Occidentale nell’Unione Europea che affermavano che: “La politica estera e di sicurezza comune deve includere la progressiva formazione di una politica di sicurezza comune. Ciò condurrà ad una difesa comune, quando il Consiglio europeo, agendo unanimemente, deciderà così” (TUE, articolo 27).

Del resto, già nel 2007 la cancelliera tedesca, Angela Merkel, mentre era presidentessa del Consiglio dell’Unione Europea, aveva espresso in un’intervista, durante la celebrazione del cinquantesimo compleanno dell’Unione, il desiderio di avere delle forze armate europee unite. E, a farle eco, il 14 luglio 2007 il presidente francese, Nicolas Sarkozy, aveva chiesto all’UE di creare delle forze armate unificate.

E cosa dicono di tutto ciò i nostri esemplari di HOMO POLITICUS? Assolutamente niente, troppo impegnati a fare promesse che non manterranno mai oppure, assecondando gli insegnamenti del maestro d’immagine ereditato dagli USA, a farsi vedere in televisione con il proprio cucciolo di cane appena adottato (http://affaritaliani.libero.it/coffee/video/monti-alle-invasioni-barbariche-adotta-un-cane.html) …

Dopo quanto detto circa la volontà di chi gestisce l’Unione Europea (che non è detto coincida con quella dei cittadini che poco o niente sanno di come vengono spesi i loro soldi) in merito ai propositi di creare un esercito proprio, con le conseguenze politiche e finanziarie che ne derivano, non sorprenderà più di tanto che l’Unione Europea, pur non essendo uno “Stato” riconosciuto, abbia deciso, ancora una volta senza grandi clamori e discussioni, di dotarsi di un proprio corpo diplomatico e di proprie ambasciate e di spargerle in tutto il mondo.

Il Servizio europeo di azione esterna (Seae), l’ente introdotto dal Trattato di Lisbona e affidato alla guida di Catherine Margaret Ashton, baronessa di Upholland, Alto rappresentante per la Politica estera dell’UE, è un soggetto che, in barba a quanto previsto dalla strategia di Lisbona e dal programma “Legiferare meglio” approvato dalla Commissione (che ha rilevato la necessità di ridurre i costi amministrativi per le imprese europee), costituisce come scrive Gian Micalessin sulle colonne de il Giornale, una sorta di “superfluo doppione” della diplomazia dei singoli Stati e, per di più, molto costoso.

Per comprendere l’enorme sperpero di denaro pubblico che questa iniziativa comporta, basti pensare le 136 sedi diplomatiche europee sparse per il mondo (che già di per sé avranno un costo strutturale non indifferente), richiedono, per essere gestite, l’utilizzo di circa 7 mila dipendenti, con un aggravio sulle ‘casse’ europee e, quindi, sulle tasche dei contribuenti di circa 3 miliardi di euro l’anno.

Questo enorme spreco è stato denunciato, alcuni mesi fa, anche dal Sunday Times, che ha sottolineato come “mentre i Governi degli Stati membri tagliano la spesa pubblica e aumentano le tasse, gli euroburocrati sparsi per i cinque continenti conducono vite da nababbi”.

Perché un’accusa tanto pesante? Semplice: perché, giusto per fare un esempio, ciascuno degli “ambasciatori” d’Europa riceverebbe uno stipendio che varia da 150 mila a 220 mila euro l’anno (David Cameron, premier britannico, ne guadagna 167 mila, sottolinea il Sunday Times), con tanto di diarie, contributi e svariati benefit come, ad esempio, bonus per l’educazione scolastica dei figli, auto blu con autista, giardiniere, voli aerei in prima classe e, dulcis in fundo, non meno di 12 settimane di ferie (che diventerebbero 15 nel caso di permanenza in zone disagiate).

Il tutto per svolgere il ruolo di ambasciatore d’Europa in sedi come le isole Vanuatu, Solomon e Papa Nuova Guinea, Fiji, Barbados, le Mauritius (dove, ad esempio, la struttura diplomatica dell’Unione Europea annovererebbe 18 europei e 19 impiegati locali, forse un po’ troppi per un’isola che misura solo 45 chilometri per 85: fonte Sunday Times).

Colmo dei colmi, poi, l’Unione Europea ha deciso di dotarsi di una sede diplomatica anche a Bruxelles dove, a pochi passi dal Parlamento Europeo, ha sede un’ambasciata europea che conta 20 dipendenti più, ovviamente, un ambasciatore. Come dire, l’ambasciata d’Italia a Roma!

E non è finita qui…

(2° puntata/continua)

 

 La prima puntata:

Da Bruxelles soldi per tutti (tranne che per l’Italia)

 

C.Alessandro Mauceri

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