Punti di aggregazione per i giovani e spazi gioco per i più piccoli, iniziative sportive, laboratori, teatro. Ma anche sicurezza, illuminazione delle strade e aree verdi bonificate dalle discariche. E poi, immancabile, il tasto dolente della Costa Sud e del Teatro del Sole. Questi i principali temi affrontati stamattina durante l’incontro all’auditorium Di Matteo di via San Ciro, che ha visto a tu per tu giunta comunale, prefettura e abitanti di Brancaccio. «Siamo dei supplenti qui, in un certo senso, e lo siamo per chiedere a gran voce ciò di cui questo quartiere ha diritto. Non siamo stati inoperosi in questi 25 anni, tanto è già stato fatto e tanto ancora, ne sono sicuro, si può ancora fare. Non ci prenderanno mai per stanchezza». A fare gli onori di casa questa mattina è Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro fondato da don Pino Puglisi, che ha spiegato il senso della riunione, che «non nasce dal nulla, ci sono stati già dei confronti con le istituzioni. I tempi saranno lunghi, ma se realizzeremo tutto quello che abbiamo messo nero su bianco, veramente avremo una Brancaccio diversa, come la voleva padre Puglisi, e noi avremo fatto la nostra parte».
E le parole della prefetta Antonella De Miro, che dedica ai cittadini accorsi alla riunione l’intervento più corposo e forse anche uno dei più sentiti, lascia ben sperare: «Lavorare per Brancaccio significa portare avanti l’azione intrapresa allora da padre Puglisi. La sua morte – dichiara -, come quella di un seme, ha prodotto dei frutti, quelli che serviranno per rendere Brancaccio non periferia ma protagonista delle città». Secondo la prefetta sarà fondamentale, per questo quartiere come per tutti gli altri, pensarsi come un pezzo di un’unica grande comunità e non come un tassello svincolato da tutto. Per il riscatto della zona, oltre alla cura del territorio, per De Miro occorre investire sulla cura di bambini e famiglie, partendo per esempio dal progetto oggi ufficializzato dell’asilo nido che si affaccerà sulla rotonda Zarcone. «L’intenzione è quella di rendere Brancaccio un polo d’attrazione, tanto per Palermo quanto per la provincia – afferma -. Solo lavorare insieme può portare a un progetto di città diversa, moderna. Palermo è un laboratorio di idee e di progettualità che potranno un giorno essere esportate e, perché no, magari partendo proprio da Brancaccio».
È d’accordo anche il sindaco Orlando, convinto che Brancaccio sia «il simbolo della città che cambia, un punto di riferimento per tutta la comunità cittadina». Soprattutto per quanto già seminato da don Puglisi. Qualcuno in sala, però, rumoreggia, bisbiglia, si distrae. Di fronte a questo assembramento istituzionale si fa venire il sospetto che sia una giornata all’insegna della retorica e delle bella frasi, più che del confronto. Ma la concretezza invece sembra esserci davvero. Per esempio nell’annunciare che presto la statua di San Gaetano sarà restaurata dal Rotary Club, che si è offerto di occuparsene. «Siamo qua per dirci chiaramente cosa si può fare e cosa invece, per questioni legate al tempo o altro, no – avvisa il primo cittadino -. Alla fine di questo incontro faremo un cronoprogramma mettendo tutto nero su bianco, e riaffrontando ogni punto nei prossimi mesi».
E tra quelli affrontati, quello della sicurezza è uno dei punti più discussi: «Non è un diritto in sé, ma la conseguenza del rispetto degli altri diritti – continua Orlando -. Non esiste al mondo un quartiere, anzi una città, culturalmente più cambiata di questa. Brancaccio non è quella di 40 anni fa perché siamo cambiati noi e lo dobbiamo ha chi ha perso la vita per una Palermo migliore. Cambiamento che è una diretta conseguenza dell’insopportabile violenza della mafia che ha risvegliato una città intera, costringendo i ciechi a vedere, i muti a parlare, i sordi a sentire. Siamo migliori per effetto della violenza subita. Siamo cambiati di testa, è cambiato il nostro modo di pensare e di parlare rispetto a quando avevamo meno consapevolezza del bisogno di tracciare una linea netta fra chi sta da una parte e chi sta dall’altra».
Ma torti e mancanze, secondo il primo cittadino, non sono tutti da attribuire alle amministrazioni che negli anni si sono succedute. Anche i cittadini hanno fatto e continuano ancora a fare la propria parte. E non sempre al meglio. «Quanti di voi hanno mai spiegato ai figli che oggi conta di più conoscere e padroneggiare una seconda lingua piuttosto che possedere una laurea?», tuona a un certo punto Orlando, spazientito da certi toni divenuti troppo alti. Una frase, la sua, che ha consacrato il confronto a quello che di fatto doveva essere sin dal principio: un botta e risposta, un discorso a tu per tu, un fare i conti con i torti di tutti e un mea culpa per poter ripartire dalle nuove idee da realizzare.
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