«Se tu ti muovi di qua io ti rompo una gamba cosi la smetti, o zitta, muta», «devi morire, devi buttare il veleno là», «per quanto mi riguarda può crepare», ma non solo, anche spintoni, calci, schiaffi, colpi di scopa. È un quadro da clinica degli orrori quello che emerge dalle indagini dei finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, che nella notte hanno portato in carcere sei donne che mandavano avanti, a vario titolo, una casa di riposo, la Aurora, in attività dal 1992.
Un’operazione dai tempi stretti, quella delle fiamme gialle, nonostante il periodo di emergenza, è stato lo stesso Gip del tribunale di Palermo, che ha firmato l’ordinanza, a segnalare «l’urgenza di interrompere un orrore quotidiano» evidenziando come «l’indole criminale e spietata degli indagati impone l’adozione della misura della custodia cautelare in carcere, ritenuta l’unica proporzionata alla gravità ed all’immoralità della condotta e l’unica idonea a contenere la disumanità degli impulsi».
«Le indagini sulla clinica – spiega a MeridioNews il comandante del nucleo di polizia economico-finanziaria, colonnello Gianluca Angelini – sono cominciate alla fine dell’anno scorso, ma quelle deputate ai maltrattamenti hanno avuto inizio da febbraio, appena due mesi fa. Due mesi in cui abbiamo percepito che la situazione stava precipitando e non si poteva attendere oltre».
Una disumanità che si sarebbe tradotta con degenti che in alcuni casi sarebbero stati legati alla sedia per inibire loro ogni movimento. In poco più di due mesi sono state, registrate decine e decine di condotte ignobili di maltrattamento poste in essere in danno di persone fragili e indifese. Un ruolo centrale, secondo gli inquirenti, è stato svolto da Maia Cristina Catalano, 57enne, già referente legale della casa di riposo e di altre società simili fallite in precedenza. Un’attività piuttosto redditizia, visto che la retta mensile che ogni ospite o i suoi familiari, erano tenuti a pagare, si aggirava attorno alle mille euro al mese.
«Emblematica della crudeltà dei comportamenti ascrivibili agli indagati – si legge in una nota dei finanzieri – è l’affermazione registrata in occasione del soccorso inizialmente prestato ad una degente, poi purtroppo deceduta, allorquando la Catalano affermava: “Ti dico che io in altri periodi avrei aspettato che moriva perché già boccheggiava. Io lo ripeto fosse stato un altro periodo non avrei fatto niente l’avrei messa a letto e avrei aspettato. Perché era morta».
In manette sono finite anche Vincenza Bruno, di 35 anni e le altre dipendenti Anna Monti, di 53 anni, Valeria La Barbera, 28 anni, Rosaria Florio, 42 anni e Antonina Di Liberto, di 55 anni. Quest’ultima faceva parte oltretutto di un nucleo familiare che percepisce reddito di cittadinanza per una somma di 799 euro, ottenuto tuttavia, per mezzo di dichiarazioni mendaci.
Il Gip ha disposto la nomina di un amministratore giudiziario, con esperienza specifica del settore, al fine di assicurare la prosecuzione dell’attivitàcon personale qualificato per fornire adeguata assistenza agli ospiti della struttura. Inoltre, di concerto con il Dipartimento di Prevenzione dell’Asp di Palermo e la Direzione della Centrale Operativa del 118, è stato predisposto un piano di accertamenti mirati alla tutela degli anziani, nel rispetto e con le cautele imposte dalle norme vigenti in relazione all’emergenza epidemiologica da Covid-19. «Al momento del nostro intervento – dice ancora Angelini – all’interno della casa di riposo c’erano undici ospiti. Stanno piuttosto bene, li stiamo assistendo con personale specializzato, sia a livello sanitario che psicologico, sono un po’ provati per quello che hanno subito, ma ci sembra che la situazione sia tranquilla».
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