Quattro anni di udienze, con l’audizione di centinaia di testimoni e dichiaranti, l’acquisizione di un’imponente mole di documenti, atti e sentenze. Audizioni eccellenti, tra l’altro, come ministri, presidenti della Repubblica, supergiudici, generali e colonnelli. Ma non si è ancora riusciti a raggiungere ai nomi e ai moventi di chi ha voluto quello che la stessa Corte d’Assise di Caltanissetta ha definito «uno dei più gravi depistaggi della storia italiana». Le motivazioni della sentenza del Borsellino quater, depositate sabato scorso, costituiscono un faldone di 1850 pagine: e sulla strage di via D’Amelio aprono veli inquietanti, dove le ombre diventano visibili ma non si vede nessuno, all’orizzonte, che voglia illuminare la scena.
Eppure le reazioni alla sentenza, e soprattutto al quadro che ne viene fuori (che gli stessi giudici definiscono «un disegno criminoso», con l’avallo di pezzi dello Stato), non sembrano essere state finora molto forti. Come mai? Chi si è fatto un’idea in tal senso è Antonio Ingroia, l’ex magistrato dell’altro processo palermitano che ha fatto molto discutere, vale a dire quello sulla trattativa tra Stato e mafia che recentemente è giunto a giudizio. «Quello che il sistema dei media complessivamente produce è un’immagine stereotipata della mafia e della stagione dello stragismo – dice l’attuale avvocato -. E cioè una stagione che è stata disegnata, una volta per tutte, come quella in cui la mafia sfida lo Stato. Una chiave di lettura certamente riduzionista e minimalista, che è stata però consacrata dai media ufficiali».
In quest’ottica Ingroia poi collega poi le due sentenze (il Borsellino quater e la Trattativa) che, a suo modo di vedere, sono «notizie epocali». E se non vengono affrontate come tali «è perchè disegnano una verità diversa da quella auspicata dai media, in cui la mafia è mafia grazie alle complicità e alle deviazioni di importanti pezzi dello Stato. Ecco perchè se i giudici scrivono in maniera coraggiosa non meritano le prime pagine dei giornali. C’è un’imposizione a forza di una lettura che rimane, anche quando vengono sconfessate dalle sentenze che si continuano a ignorare».
L’ex magistrato guarda, in questo senso, già al futuro. Troppi i precedenti, e lui in questo senso ne è un caso lampante, che gli fanno temere di come «magari questi giudici che hanno esplorato sentieri più rischiosi e meno graditi verranno additati come visionari, politicizzati, protagonisti e così via. È successo per tanti pubblici ministeri, da me a Di Matteo, non escludo che qualcuno lo dirà anche per loro». E che scenari si aprono, vista la recente notizia con la quale si è appreso che la procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per tre funzionari di polizia che avrebbero imbeccato i falsi pentiti Vincenzo Scarantino e Francesco Andriotta, alla ricerca di un capro espiatorio all’indomani della strage del 19 luglio 1992? Anche perchè, in ogni caso, continuano i mancare i presunti manovratori e il movente di tali condotte.
«Questo è compito della magistratura accertarlo – continua Ingroia -. Credo però che sia compito della parte migliore del Paese farsi carico di questa sentenza. Nel senso che queste due sentenze, quella di Caltanissetta e quella di Palermo sulla trattativa, hanno secondo me delle relazioni evidenti tra di esse. Non era solo interesse della mafia, dunque, ma interesse anche dello Stato occultare la verità. Che anzi ha delle precise responsabilità nella strage di via D’Amelio e che sono state coperte». E per l’ex magistrato di Palermo, si è voluto zittire in quel modo Borsellino per via della «trattativa tra Stato e mafia, che c’è stata, come la recente sentenza afferma».
Ed è questa, sempre secondo Ingroia, «la linea direttrice che bisogna perseguire». A partire «dalla magistratura, dalla politica e dall’informazione: perchè la magistratura ha bisogno di essere protetta e supportata e la politica non può fare finta di niente e voltarsi dall’altra parte. Abbiamo oggi un governo che si autodefinisce del cambiamento, con una maggioranza nuova che vuole distinguersi dal passato. Bene, questo governo può dimostrare le buone intenzioni ad esempio rafforzando con uomini e mezzi gli inquirenti. E poi è il momento di aprire una grande commissione d’inchiesta, seria, con poteri effettivi e che abbia come obiettivo quello di aiutare la magistratura tutta la verità su quella strage».
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