Borsellino, la Trattativa e quella «premura» di ucciderlo Riina: «Non era studiato da mesi, studiato alla giornata»

«Presto hanno fatto». Persino Giovanni Brusca sembra che sia rimasto sorpreso dalla velocità improvvisa con cui si giunse all’uccisione di Paolo Borsellino. La fretta di Totò Riina si legge tra le tante pagine delle motivazioni della sentenza del processo alla trattativa tra Stato e mafia depositate dalla corte d’assise presieduta da Alfredo Montalto, in cui un intero capitolo è stato dedicato alla «Improvvisa accelerazione dell’esecuzione dell’omicidio del dott. Borsellino». A rendere così urgente la priorità di togliere di mezzo il giudice palermitano, secondo quanto si legge nel documento, sarebbe stato dettato da un rinnovato ottimismo da parte di Totò Riina nella possibilità di imbastire un dialogo dopo i segnali di apertura provenienti da una parte delle istituzioni di cui si sarebbe fatto portavoce Vito Ciancimino. Borsellino, dunque, sarebbe stato visto come l’ultimo ostacolo per la riuscita della Trattativa

Giovanni Falcone era appena stato ucciso, al governo si discuteva del decreto legge che istituiva il 41 bis, mentre all’interno di Cosa nostra si susseguivano le riunioni per la programmazione della campagna del terrore messa in campo. «Non ho mai saputo di accelerazioni su questo fatto» racconta Brusca ai magistrati, ma di certo si è reso conto dell’improvviso cambiamento nelle strategie di Riina. «Dopo la strage di Capaci mi aveva dato il mandato per uccidere l’onorevole Mannino. A un dato punto mi revoca il mandato e io provvedo per fare altre cose» continua. E dire che Giovanni Brusca, parole sue, aveva già iniziato a preparare l’omicidio: «Stavo cominciando a prepararmi per quelle che erano le attrezzature – dice – Il telecomando che non ci voleva niente a procurarmelo, tanto l’esplosivo era disponibile … Stavamo studiando le volte che lui andava nelle segreterie a Palermo, non mi ricordo se in via Zandonai o vicino alla Camera di Commercio di Palermo, dove c’era o una o un’altra segreteria, comunque sapevamo che frequentava questi posti». Poi il contrordine: «Non saprò mai per quale motivo mi revoca questo mandato». Brusca apprende dell’attentato di via D’Amelio dalla televisione. «’Mi, presto ficiru‘ – racconta di aver detto a Gioacchino La Barbera e a Gioè – cioè, nel senso, da quando me l’hanno detto erano tre giorni, in base a quello che avevamo passato noi per Capaci, che abbiamo aspettato tre settimane per potere colpire … Presto hanno fatto». E la «premura» di uccidere Borsellino si riscontra anche nelle parole di altri collaboratori di giustizia, tra cui Salvatore Cancemi, seppur con qualche contraddizione. E poi ci sono le parole di Totò Riina, intercettato nell’agosto del 2013: «Non era stato, non era studiato da mesi, studiato alla giornata». 

Nella sentenza si tende a escludere che al centro della decisione di accelerare l’esecuzione di Borsellino ci fosse la sua attività investigativa sulla vicenda mafia-appalti, «Non v’è neppure certezza – si legge – che il Dott. Borsellino possa avere avuto il tempo di leggere il rapporto “mafia e appalti” e di farsi, quindi, un’idea delle questioni connesse». Inoltre «La vicenda mafia e appalti, per quanto riguarda il versante mafioso, aveva già avuto esito almeno un anno prima (con l’arresto, tra gli altri di Angelo Siino – conosciuto come “il ministro dei Lavori pubblici della mafia” Ndr. -) e non si comprende, dunque, quale preoccupazione talmente viva, attuale e forte avrebbero potuto avere i vertici mafiosi». Di contro, si dà molto credito alle parole della moglie di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto, che agli stessi magistrati aveva dicharato: «Mi ha accennato qualcosa e non in quel contesto, che c’era una trattativa tra la mafia e lo Stato, ma che durava da vero un po’ di tempo… dopo la strage di Capaci, dice che c’era un colloquio tra la mafia e alcuni pezzi “infedeli” dello Stato e non mi dice altro». Agnese Piraino parla del marito in quei giorni, lo definisce nervoso, ferito, come se si sentisse tradito. «In ogni caso – si legge ancora nel documento – non v’è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto ai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio del Dott. Borsellino con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente da istituzioni dello Stato e di lucrare, quindi, nel tempo, dopo quell’ulteriore manifestazione di incontenibile ed efferata violenza concretizzatasi nella strage di via D’Amelio, maggiori vantaggi rispetto a quelli che sul momento avrebbero potuto determinarsi in senso negativo». 

Gabriele Ruggieri

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