Non si sarebbe fermato nemmeno davanti all’obbligo di non potere uscire di casa. Così la casa di Salvatore Panassiti, in via Santa Maria delle Salette, sarebbe diventata il punto di riferimento logistico di un gruppo di gestori della droga. Riconducibili, secondo i magistrati della procura di Catania, al clan Cappello-Bonaccorsi e, in particolare, al presunto boss detenuto Massimiliano Salvo (non coinvolto in questa indagine, ndr). L’operazione di questa mattina, denominata proprio Salette, coinvolge otto persone. Sono accusate di associazione finalizzata alla detenzione e al traffico di stupefacenti, con l’aggravante di avere favorito la mafia.
Al vertice ci sarebbe stato Giovanni Geraci. Con lui, secondo gli investigatori, avrebbe agito proprio Salvatore Panassiti. Quest’ultimo, già noto alle forze dell’ordine per i suoi precedenti penali, avrebbe dato l’input decisivo per l’avvio dell’inchiesta. Iniziata dopo che le forze dell’ordine gli trovarono a casa cocaina, denaro e un libro mastro. Ovvero una serie di appunti relativi alla gestione del traffico di droga nelle piazze di spaccio nello storico rione San Crisroforo. Attraverso pedinamenti e controlli i carabinieri del comando provinciale di piazza Dante avrebbero accertato «un forte vincolo associativo riconducibile all’organizzazione mafiosa Cappello-Bonaccorsi». Fatti ai quali sono state aggiunte le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. In un video, diffuso dagli inquirenti, si vedono più volte gli indagati scambiarsi baci sulle labbra.
Coinvolto nell’operazione, con l’ordinanza notificatagli nel carcere Ucciardone di Palermo, anche il 36enne Carmelo Andrea Musumeci. Arrestato nel 2016 nella sua abitazione di Cortile del Canario con 850 grammi di marijuana nascosta all’interno del bagno. Come spacciatore, stando agli inquirenti, avrebbe operato Santo La Ferlita. Pure lui arrestato due anni fa, quando i carabinieri lo bloccarono in via Delfo con diverse dosi di cocaina e marijuana. Passa dai domiciliari alla casa circondariale di piazza Lanza l’unica donna coinvolta nell’operazione. Si tratta di Giovanna Carmelina Bartolotta. Recentemente condannata a tre anni per droga e armi. A casa, nel 2016, i carabinieri le trovarono due mitragliatrici modello Uzi e cinque chili marijuana.
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