Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro ha revocato la misura del divieto di dimora in Calabria imposta all’imprenditore edile Giuseppe Capizzi di Maletto. Per l’indagato, difeso dall’avvocato Vincenzo Mellia, sono state infatti ritenute sproporzionate le esigenze cautelari. Il provvedimento era stato adottato nell’ambito della maxi-inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro denominata Rinascita.
Quattrocentosedici indagati, 330 arrestati e quattro obblighi di dimora per accuse che vanno dall’associazione mafiosa con la ‘ndrangheta al traffico di influenze. Per quest’ultimo reato è finito nel mirino anche Capizzi, imprenditore edile nato a Bronte e residente a Maletto, che è indagato per un appalto nella zona di Vibo Valentia. Una gara bandita dal Comune per la messa in sicurezza di alcune frazioni vibonesi (dal valore di oltre sei milioni di euro) che non riuscì ad aggiudicarsi, posizionandosi solo al secondo posto. Capizzi fece ricorso al Tar di Catanzaro e, per accertarsi del buon esito della pratica, avrebbe cercato l’amico Pietro Giamborino, ex consigliere regionale calabrese, ritenuto «formalmente affiliato alla cosca locale di Piscopio». L’incontro tra i due è avvenuto a Messina nel marzo del 2018.
Dal contenuto della loro conversazione parte il presunto traffico di influenze di cui la direzione distrettuale antimafia catanzarese accusa anche Nicola Adamo, ex vicepresidente della Regione Calabria, deputato regionale per cinque legislature e marito della deputata nazionale del Partito democratico Enza Bruno Bossio; e Filippo Valia, nipote di Giamborino e accusato di avere fatto l’intermediario tra il parente e l’imprenditore etneo.
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