Black cat, estorsioni per la sopravvivenza dei mandamenti Intimidazioni e crisi economica: «Avemo a fare scrusciu»

Una vera e propria questua. All’interno dei mandamenti mafiosi di Trabia e San Mauro Castelverde le estorsioni rappresentavano la più grande fonte di sostentamento per gli affiliati, che per questo seguivano in maniera capillare la vita economica di ogni azienda, di ogni cantiere. Conoscevano importi dei lavori, mezzi, operai. Facevano attenzione alle nuove assunzioni, a quanti impiegati erano paesani e a quanti invece non lo erano. Seguivano con attenzione lo stato dell’arte dei cantieri. Tentavano di mettere le mani su appalti pubblici e privati chiedendo percentuali sulle cifre da incassare o tentando di imporre l’assunzione di uomini di loro fiducia. E per chi si rifiutava o ritardava a mettersi a posto scattavano le intimidazioni, con bottiglie incendiarie fatte trovare all’interno dei mezzi in cantiere o nelle auto. Chiaro segnale di quanto sarebbe potuto accadere alle vittime reticenti. 

Se da un lato questo furriare era visto con timore – che portava anche a una sorta di riverenza in quanti si recavano dagli uomini di fiducia dei reggenti del mandamento per chiedere lavoro -, dall’altro le cose non andavano sempre come programmato. Anche le famiglie mafiose, infatti, si sono trovate a dovere fare i conti con la crisi. Nel novembre del 2012, Michele Modica e Antonino Vallelunga, ritenuti uomini di spicco del mandamento di Trabia, si incontrano per cercare un immobile da affittare per poterlo poi utilizzare come sede in cui pianificare le estorsioni per il periodo natalizio. «Ci dobbiamo sedere un poco perché avemo a fare una n’ticchia di scrusciu. Eh, ora è Natale, lo dobbiamo fare». Quel Natale, tuttavia, la raccolta non è riuscita per niente a soddisfare le aspettative, tanto che in un’altra conversazione intercettata tra Modica e Vallelunga il primo si lamenta: «Quello non si è presentato, quello non si è presentato. Non si è presentato nessuno per ora. Nessuno». E sempre Modica a ridosso di Capodanno: «Picciotti vedete che la cosa è seria. Questo è sintomo per davvero che non c’è… non c’è più niente da fare Nino!». «E ora sto iniziando a capire che forse per questo nessuno viene» la risposta di Vallelunga, che continua: «Saranno in difficoltà forte penso!», «Allora perché ti dico … è un guaio!». In ogni caso nessuno denuncia, tanto che diverse intimidazioni, come quella messa in atto da parte dei maurini – che si avvalevano anche della collaborazione di una serie di informatori, tra cui un consigliere comunale di Polizzi Generosa – nei confronti di un’impresa che svolgeva lavori edili nel comune madonita, erano dei veri e propri test per verificare se il titolare chiamasse o meno i carabinieri dopo un’incursione notturna nel cantiere. 

L’attività estorsiva, comunque, va avanti. I mandamenti continuano a battere i cantieri, da quello per il restauro del porto turistico di Trabia ad alcuni lavori di riparazione della condotta idrica, dalla costruzione di nuovi fabbricati al rifacimento di abitazioni private. Neanche gli imprenditori agricoli vengono risparmiati. Gandolfo Interbartolo e Stefano Contino – ritenuti esponenti di primo piano della famiglia mafiosa di Cerda – Il 7 maggio 2012, per contrastare la ritrosia nel pagare la somma di denaro richiesta da due agricoltori, decidono di passare ai fatti o, per dirla nel loro gergo, si preparano a dare nelle corna. «Ma questi, minchia, bene se la passano», dice Interbartolo riferendosi ai due. Fanno bruciare a ignoti – secondo quanto si apprende dalle indagini – quattro trattori e un bobcat. Un’intimidazione molto chiara in conseguenza della quale dovrebbero ricevere la messa a posto dovuta. Ma qualcosa va storto e le vittime, anziché corrispondere i soldi a loro – o denunciare le intimidazioni subite -, si rivolgono a una famiglia antagonista per ricevere protezione, i Rizzo di Cerda, che non esitano a prendere il denaro frutto dell’estersione. «Non ci possiamo mettere la tromba in bocca», sbotta Interbartolo, registrato da un’intercettazione ambientale. Cioè spifferare ai quattro venti di essere i nuovi referenti mafiosi del territorio. La soluzione è semplice: «Se si deve cafuddare, si ci cafudda», dice ancora Interbartolo. Facendo, cioè, un secondo danneggiamento: «Noi gli dobbiamo dare di nuovo fuoco ed è finita. Si prende e gli si dà di nuovo il colpo». Un modo per far comprendere una volta e per tutte agli imprenditori agricoli a chi elargire i propri soldi. Ma non solo. Il pagamento non deve per forza essere fatto in denaro. Gli uomini di Cerda si accontentano anche di beni alimentari come olio e formaggio, o magari anche di un posto di lavoro per qualche amico. 

Gabriele Ruggieri

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