Nello Musumeci è a Catania, per intervenire al convegno di Confindustria, mentre dall’altro lato dell’Isola, a Palazzo dei Normanni, si consuma l’atto di accusa nei confronti del governo. Gianfranco Micciché non ha fatto alcuna conferenza stampa. Ma a domande dei cronisti, negli scorsi giorni, ha sempre manifestato il suo disappunto.
«Il presidente della Regione – dice in Aula – ha detto che il Parlamento tiene nei cassetti leggi di riforma, parole che mi hanno amareggiato. Mai in questo Parlamento è stata tenuta nascosta una legge o una iniziativa del governo, qui cassetti non ce ne sono e se c’è qualche cassetto, dico al governo che chiavi non ce ne sono: chi vuole verificare i contenuti nei cassetti, può farlo».
Il primo inquilino di Sala d’Ercole non ci sta e replica a muso duro alle parole del governatore, ancora a proposito delle riforme che sarebbero rimaste intonse: «Mai il governo può pensare che questo Parlamento faccia qualcosa per boicottare o rallentare la sua azione. Sarei un pazzo, l’interesse di tutti noi è quello di aiutare la Sicilia, che è debole, e l’economia che non è sana. La cosa peggiore sarebbe boicottarla, ma la cosa peggiore è anche chi tenta di boicottare questo Parlamento, dando informazioni che non corrispondono al vero».
Ma c’è di più: Miccichè lancia un nuovo allarme: «Preciso che l’eventuale accoglimento da parte della Corte costituzionale dell’impugnativa (da parte del consiglio dei Ministri di parte delle norme del collegato generale all’ultima Finanziaria, ndr) determinerebbe un peggioramento del disavanzo pari a 64,4 milioni di euro».
Un punto, questo come altri, rispetto al quale le opposizioni hanno chiesto di intervenire. Ma in assenza del governatore, il presidente dell’Assemblea ha preferito non aprire il dibattito, rimandando al prossimo giovedì 26 settembre una seduta dedicata proprio alla situazione finanziaria della Regione (e alle responsabilità sulla vicenda).
Intanto Miccichè è tornato a sottolineare che «non si può dare nessuna responsabilità a questo Parlamento: né di avere inventato i collegati, che sono stati una richiesta specifica del presidente della Regione e del governo, né sulle leggi che non sono state ancora approvate perché l’Ars ne ha varate tantissime quando aveva il tempo di farle. Ma se il Parlamento è stato impegnato nei collegati non c’è stato tempo, se l’Ars fosse stata informata sui problemi finanziari già a giugno, quando il governo sapeva qual era la situazione dei conti, invece di andare appresso ai collegati avrebbe potuto mettere all’esame le leggi di riforma».
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