«I nostri musei sono più tristi di un cimitero a mezzanotte. È una situazione vergognosa». Parola del presidente della Regione Nello Musumeci che ha dato piede a una sorta di sfogo durante il tradizionale appuntamento di fine anno con la stampa. «Non vengono ammodernati da almeno vent’anni – continua – Con l’assessore Samonà siamo stati al museo di Agrigento e su 80 lampadine ben 37 erano fulminate». Il problema portato all’attenzione da Musumeci esiste ed è reale, basti pensare che nella relazione annuale dell’Istat del 2019, prima quindi dell’emergenza sanitaria relativa al Covid-19, si evidenziava come il 77 per cento dei siciliani di età superiore a sei anni non avesse mai beneficiato delle attività dei propri beni culturali. Beni che, sempre secondo la relazione, sarebbero stati in diversi casi poco digitalizzati, scarsamente attrezzati per i più piccoli e carenti sotto il profilo dell’assistenza ai disabili.
Un giudizio assai poco lusinghiero, che con tutta probabilità e per ovvie ragioni, non sarebbe migliorato nel documento del 2020, pubblicato lo scorso novembre, ma senza il dato relativo alla Sicilia, per cui le caselle nelle varie voci indagate dall’istituto di statistica risultano sempre vuote. E dire che il governo Musumeci aveva anche provato a metterci una pezza, come dichiarato dallo stesso presidente ieri mattina. «Abbiamo destinato 24 milioni per ammodernare nove musei regionali – prosegue – ma la gara, dopo due anni, non è ancora stata svolta. Non appena saranno appaltati i lavori, i musei potranno essere degni di questo nome». In verità, i milioni sono 22 e il tempo trascorso è un po’ inferiore a quello lamentato da Musumeci. Quello che era stato chiamato il Piano regionale per la riqualificazione della rete museale siciliana, infatti, è stato reso pubblico nel maggio dello scorso anno. Ma, di fatto, la sostanza non cambia.
I nove musei che avrebbero dovuto – e dovrebbero – beneficiare del finanziamento sono il museo archeologico di Gela, quello di Siracusa, la Gam di Palermo, l’Antiquarium e il museo Pirri Marconi nel parco archeologico di Himera, nell’area di Termini Imerese; il museo Pepoli di Trapani, il museo interdisciplinare di Messina, il museo delle Solfare di Riesi (nel Nisseno) e il museo archeologico di Aidone, casa della Venere di Morgantina. Finanziamenti votati al miglioramento e all’abbellimento infrastrutturale, ma anche a nuovi allestimenti, di impianti di illuminotecnica e di sistemi digitali per la fruizione e la valorizzazione delle collezioni. Fruizione che in alcuni casi, si pensi ad Aidone o a Riesi, è tuttavia ostacolata non solo dalla struttura museale, ma dall’incredibile difficoltà per il visitatore medio di raggiungere le destinazioni partendo dalle città di maggiore concentrazione turistica come Palermo e Catania, tra mancanza di collegamenti alternativi alle automobili e strade dalle condizioni spesso precarie.
Musumeci, che ha parlato anche della necessità di «cambiare registro sui Beni culturali» ha anche presentato la Casa di Pirandello come esempio positivo di intervento della Regione: «Non c’erano i bagni, i disabili non potevano andare al primo piano, c’erano 18 gradini. Aveva un aspetto tetro, con 20 dipendenti di cui nessuno che sapesse parlare in lingua straniera. L’ho fatto chiudere e recuperato un progetto e aggiungendo risorse, lo abbiamo riaperto con tutti i crismi», con i lavori che sono durati solo un anno. E forse su questa scia, la Regione ha avviato altre due importanti trattative: quella per l’acquisto della casa che ospitò per quattro anni – tra il 1898 e il 1902 – Giovanni Pascoli a Messina, per un importo valutato dal genio civile della città peloritana attorno ai 159mila euro, per farne «uno spazio museale moderno e interattivo», secondo quanto detto sempre dal presidente della Regione, e l’acquisizione della casa natale di Salvatore Quasimodo a Modica per una spesa che si aggira attorno a 220mila euro.
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