Sono passati 76 anni da quando Elvira Sciacca ha lasciato la Libia per arrivare in Sicilia. Un viaggio da profuga di guerra partito da una colonia italiana che per certi versi, nonostante tempi e modi diversi, assomiglia sempre di più a quello che viene affrontato quotidianamente dai migranti oggi. Il paragone viene fornito da Sergio Porcarelli, figlio della profuga di Bengasi che oggi ha 87 anni e deve fare i conti con numerosi acciacchi legati all’età. «Ho messo insieme gli aneddoti della storia di mia madre in un libro dopo un lungo lavoro di ricerca», spiega. Tre anni passati, nonostante le ristrettezze economiche e l’assenza di un’occupazione, a mettere insieme i pezzi di una vicenda complicata, vivisezionando centinaia di documenti conservati negli archivi. «Ha vissuto in Libia fino a undici anni per poi arrivare in Sicilia nel 1941», racconta a MeridioNews.
La tratta Tripoli-Sicilia viene affrontata dalla donna con un aereo partito dalla capitale dello Stato africano, ma la destinazione d’arrivo, almeno quella iniziale, non è Catania. «Venne scelto l’aeroporto militare della regia aviazione di Castelvetrano ma lo spostamento non fu comunque semplice», prosegue il parente. Tra gli aneddoti che Sciacca ricorda c’è un primo tentativo di volo da Tripoli, effettuato a bassa quota: «I passeggeri temevano l’aviazione nemica ma in realtà quell’aereo aveva problemi di avaria e così furono costretti a un atterraggio di emergenza. Passarano due giorni nelle case coloniche prima di ripartire e arrivare finalmente in Italia».
La permanenza a Castelvetrano in realtà si protrasse soltanto per poco tempo: «La prima tappa è stata Mascali, successivamente si è spostata a Motta Sant‘Anastasia, Belpasso e Catania, mentre adesso viviamo a San Gregorio». Con lei, durante il ritorno in Sicilia, c’era anche la famiglia che in Africa gestiva due negozi di torrefazione: il padre originario di Acireale, poi deceduto nel 1979, e la madre Salvatrice nativa di Vittoria. Nella città dell’elefante la famiglia Sciacca si stabilisce in via Baldanza, nei pressi del palazzo di giustizia.
Della permanenza in Libia la profuga di guerra conserva ancora qualche oggetto. Come un fazzoletto ricamato con le palme o una bambola. Nel libro viene ripercorsa la giovanezza della donna con uno sguardo, a tratti malinconico, della vita in Africa e del noto lungomare intitolato al dittatore Benito Mussolini a Bengasi. «Questo libro non è un romanzo ma la storia di come una bambina ha vissuto la guerra e il viaggio verso l’Italia». I primi anni in Sicilia per Sciacca coincidono infatti con i bombardamenti nell’Isola e con l’operazione delle forze Alleate denominata Husky, del 10 luglio 1943. L’obiettivo alla fine è soltanto «quello di dare un messaggio di speranza di cui lei è un esempio vivente».
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