Battaglia su timilìa, ditta veneta rinuncia al marchio «Si sono scantati, ma le aziende siciliane sono sole»

«Nella guerra del grano la battaglia questa volta l’hanno vinta i produttori siciliani». Mario Di Mauro è il presidente di TerraeLiberazione e cofondatore del movimento contadino Simenza, e quando è venuto a conoscenza che la società veronese Terre e Tradizioni aveva inoltrato a maggio una lettera di diffida a centinaia di agricoltori siciliani all’inizio ha pensato a uno scherzo. L’azienda veneta rivendicava infatti la proprietà delle storiche denominazioni degli antichi grani siciliani, le cui varietà si diffondono sempre più tra le tavole isolane e italiane: Timilia, Maiorca e Russello le principali. E che potesse essere una burla l’hanno pensato pure alcuni agricoltori che hanno ricevuto le lettere ingiuntive. 

«Per un attimo si pensava fosse uno scherzo – confermava qualche giorno fa in suo post su Facebook Salvo Scuderi, produttore di pasta bio a Catenanuova – visto che la timilia, essendo un cereale esistente da migliaia di anni, non può essere registrata ma ci sono stati indicati addirittura i numeri di deposito e hanno diffidato la mia azienda a usare la parola timilia intimandoci la sospensione della produzione di tutti i prodotti con la dicitura timilia anche negli ingredienti». 

La battaglia legale che è scaturita ha visto il presidente di TerraeLiberazione rivolgersi all’Antitrust (l’Autorità garante della concorrenza e del mercato) per avviare una «indagine conoscitiva a fronte di un evidente impedimento alla concorrenza sui mercati». Due giorni fa la srl veneta, sulla cui decisione si erano scagliati tra gli altri anche il Movimento 5 Stelle e l’assessore regionale all’Agricoltura Antonello Cracolici, ha reso noto di voler rinunciare alla difesa dei marchi Tumminìa e Timilia

A mente fredda Di Mauro lancia alcune considerazioni: «Li abbiamo fatti scantare. In ogni caso non stiamo parlando di un colosso multinazionale e non c’è nessuna guerra tra la Sicilia e il Veneto – dice -. Anzi, i nostri migliori alleati sono venuti proprio da quelle terre. A mio parere è una vicenda che è scappata di mano a qualcuno in un vuoto legislativo e all’interno di una retorica molto spesso fumosa, cioè quella del mangiar sano e naturale. Certamente è stata una vicenda difficile anche dal punto di vista umano: già l’agricoltore siciliano esce dalle produzioni sterili e passa al biologico con un certa fatica, poi per giunta arrivano episodi del genere e si scopre che siamo poco tutelati».

Osservazioni condivise da Scuderi, tra coloro che sono stati raggiunti dalle lettere ingiuntive di Terre e Tradizioni. «Stiamo parlando di una società in liquidazione che prima era di Catania e ora ha sede legale a Verona – afferma il produttore -. Non capisco come mai lo scandalo sia montato con ritardo. Per giunta io ho denunciato ma non tutte le aziende ne hanno parlato, e questa solitudine fa molto riflettere sulla sicilianità e fa sentire molto soli. In compenso c’è stata una rivolta dei consumatori. Quando ho scritto che ci stavano defraudando, qualche produttore ha pure risposto che non è vero, ma bisogna avere il coraggio di chiamare le cose col proprio nome». 

Intanto la guerra del grano non si ferma. L’assessore Cracolici ha inviato una nota di diffida al ministero dell’Economia, Ufficio registrazioni marchi, e al ministero delle Politiche agricole e alimentari, affinché avviino le procedure di revoca dei marchi di varietà genetiche dei grani che sono stati illegittimamente registrati presso il ministero dell’Economia da parte di società in difformità alle disposizioni che fanno divieto all’utilizzo di denominazioni varietali ai fini commerciali. Mentre il presidente di Terraliberazione rilancia e guarda avanti. «La questione vera va affrontata con lucidità – dice Di Mauro – nella costruzione di una potente filiera agro-industriale che riscatti la nostra terra producendo migliaia di posti di lavoro vero e, soprattutto, valorizzi in positivo una identità millenaria che ha ancora molto da dire nel mondo».

Andrea Turco

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