«Viviamo in questo palazzo da tanto tempo e c’è chi non è in condizioni di pagare arretrati decennali. Per questo, chiediamo di poter trovare un accordo». A parlare è una dei residenti dell’immobile all’incrocio tra via Gallo e via Santa Elena che, nelle ultime settimane, hanno ricevuto la notifica dell’intimazione a lasciare liberi i propri appartamenti, a distanza di due anni dalla sentenza che ha dato ragione al Policlinico G. Rodolico San Marco. L’azienda ospedaliera è infatti la proprietaria dello stabile in questione in cui vivono diverse famiglie.
All’origine di questa storia c’è un lascito testamentario firmato da una donna che, negli anni Settanta, era ricoverata all’ospedale Vittorio Emanuele. In quel momento, alcune famiglie già abitavano nel palazzo, altre si sistemarono negli appartamenti sfitti in tempi successivi. «Il palazzo è sempre stato abbandonato a se stesso, il proprietario (l’azienda sanitaria, ndr) non se n’è mai occupato», lamenta una dei residenti. A differenza di altre vicende simili, in questo caso gli inquilini già in tempi non sospetti hanno chiesto di potere essere regolarizzati pagando un affitto equo. La prima richiesta risale all’inizio degli anni Novanta.
Da quel momento, la trattativa va avanti per anni, senza però arrivare mai a una conclusione. Anzi, a metà degli anni Duemila finisce in tribunale. In un primo tempo, le parti ipotizzano un accordo per 70 euro mensili a vano, poi però all’interno del processo viene nominato un consulente tecnico deputato a redigere una perizia per quantificare in maniera precisa la somma che gli inquilini avrebbero dovuto pagare per continuare a vivere nel palazzo di via Gallo senza più essere abusivi. Passano gli anni e, a inizio del nuovo decennio, la volontà dell’azienda sanitaria muta: a venire meno è la disponibilità a trovare un accordo. Stando a quanto appreso da MeridioNews, tra i motivi all’origine del passo indietro ci sarebbe stato anche il timore che, una volta regolarizzati i canoni locatari, gli inquilini avrebbero potuto pretendere la ristrutturazione dell’immobile da parte del proprietario. Un impegno economico che l’azienda avrebbe giudicato non sostenibile.
«Nel corso degli anni sono stati gli inquilini a farsi carico di piccoli lavori di manutenzione – dichiara a MeridioNews l’avvocato Nello Papandrea, difensore di alcune delle famiglie residenti – A dimostrazione di ciò c’è il fatto che, per un periodo, l’area prospiciente il palazzo era stata transennata dal Comune per motivi di sicurezza, temendo il cedimento di calcinacci. Successivamente agli interventi degli inquilini, questo pericolo è rientrato». Ma oltre alla paura di perdere il tetto sotto cui si è vissuto per tanto tempo, a impensierire i residenti è anche la pretesa dell’azienda di ottenere il pagamento degli arretrati accumulati in questi anni. Per alcuni si tratterebbe di decine di migliaia di euro. «Sono soldi che nessuno potrebbe tirare fuori, parliamo di famiglie che vivono difficoltà quotidiane e che, in molti casi, usufruiscono del reddito di cittadinanza», aggiunge il legale.
Tuttavia, oltre allo spettro dello sfratto, c’è chi ancora ritiene possibile trovare un accordo che superi quanto deciso dal tribunale in via definitiva. A svolgere un ruolo in questa trattativa sarà anche il Sunia, il sindacato unitario nazionale inquilini assegnatari. «Abbiamo già avuto un’interlocuzione con l’azienda sanitaria e l’auspicio è che presto ci si possa sedere attorno a un tavolo per discutere di possibili soluzioni – dichiara la segretaria provinciale Giusi Milazzo a MeridioNews – Al momento, possiamo dire che la storia di via Gallo ci ricorda una volta di più come siano davvero tanti gli immobili inutilizzati di proprietà di soggetti pubblici. E questo dovrebbe spingere le istituzioni a decidere di fare una profonda riflessione sulla possibilità di destinarli a chi una casa non ce l’ha». Stando a quanto risulta a questa testata, l’azienda sanitaria potrebbe riaprire la porta a una trattativa e in quest’ottica rientrerebbe la richiesta agli inquilini di fare per saldare i pregressi.
A commentare la vicenda è anche il Comitato Reddito Casa Lavoro. «Vogliono gli arretrati di 25 anni, a fronte di una situazione oggettiva – si legge in una nota – in cui da anni gli abitanti chiedono di rimanere nelle case in maniera legittima e regolarizzata senza avere alcuna risposta, in cui hanno speso dei soldi per rendere sicuro un palazzo dichiarato inagibile, alcuni anche indebitandosi». Il comitato, infine, ricorda come soltanto a Catania le famiglie che vivono in grave disagio abitativo siano quasi diecimila, mentre oltre 2300 sono state nel 2019 le richieste di esecuzione di sfratti.
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