Avola, il giallo del suicidio di Sebastiano Caruso Fermato dalla polizia, si uccide e accusa agente

Si chiamava Sebastiano Caruso e aveva 27 anni. È la notte del 18 giugno quando il padre Franzo e il fratello maggiore Giuseppe lo trovano in contrada Bochini, una zona nei pressi di Avola, impiccato a un albero con un cavo elettrico. A spiegare il motivo del suo suicidio una lettera lasciata sotto il cuscino della sedia dove abitualmente siede la madre: «Così lasciano stare in pace mia moglie e state attenti anche ai cani. Loro sono complici della mia morte». Secondo la famiglia, «loro» sarebbero i poliziotti del commissariato locale.

Tutto sembra avere inizio la notte dell’11 giugno, una settimana prima del suicidio. Sebastiano è insieme alla compagna Alessia, con la quale conviveva da quattro anni. Trascorrono un sabato sera tranquillo come tanti altri, fanno un giro in motorino e poi, «verso le 23.30, ci siamo appartati in un parcheggio a due passi dal centro di Avola – racconta la ragazza 23enne a MeridioNewsperché dovevamo fare pipì. Mentre io ero ancora sul motorino, è arrivata di corsa una punto grigia che si è fermata accanto a noi. Ci siamo spaventati perché non abbiamo capito che si trattava di agenti in borghese. Uno dei due, senza nemmeno qualificarsi – sottolinea la giovane – ha afferrato Seby, lo ha messo con le spalle al muro e ha iniziato a dargli pugni sul torace. Io mi sono messa a piangere, le mie gambe hanno ceduto e sono caduta a terra perché avevo paura che lo ammazzasse con qualche pugno allo stomaco».

In queste fasi concitate, anche la ragazza avrebbe subito delle lesioni perché uno dei due agenti, aprendo lo sportello dell’auto, glielo avrebbe sbattuto addosso. «Mi hanno lasciata a terra – denuncia – e questo signore più mi vedeva piangere e più dava pugni a Seby. Ci hanno perquisiti ma non hanno trovato nulla e poi ci hanno rilasciati». Tornati a casa, Sebastiano e la ragazza raccontano quanto avvenuto ai genitori di lui e, insieme, vanno in caserma per chiedere spiegazioni. «Il poliziotto che aveva aggredito mio figlio non c’era – racconta Mariagrazia, la madre del ragazzo – e allora abbiamo esposto i fatti agli altri agenti che negavano tutto. Poco dopo è arrivato anche l’altro mio figlio, i toni si sono scaldati, uno degli agenti lo ha preso per il collo e mio figlio ha reagito».

Sebastiano viene ammanettato e portato al pronto soccorso per redigere il referto. «Io ho visto che l’agente che lo aveva aggredito ha fatto l’occhiolino a quelli che lo hanno portato al pronto soccorso sempre con le manette ai polsi – prosegue Alessia – Poi Seby mi ha raccontato che gli agenti hanno schiacciato l’occhio anche al medico che era di turno». Al pronto soccorso, il ragazzo avrebbe riferito il nome e il cognome dell’agente che lo avrebbe aggredito (così avrebbe raccontato lui stesso ai familiari), ma sul referto i sanitari riportano la dicitura generica «persona a lui nota». Nel documento, inoltre, si parla di una contusione alla mano destra e di escoriazioni.

Dopo le cure mediche, il ragazzo viene ricondotto in caserma e lì, racconta Alessia, «è stato minacciato dallo stesso poliziotto che lo aveva aggredito e che gli ha detto “Io da lunedì in poi non ti faccio uscire nemmeno di casa, sarò sempre sopra di te”». In seguito all’intervento del padre della ragazza, agente di polizia penitenziaria in pensione, il ragazzo viene rilasciato alle 5 del mattino, dopo essere stato «costretto a chiedere scusa a tutti i presenti nel commissariato» dicono i familiari. Entrambi i fratelli Caruso vengono denunciati per oltraggio, minacce e resistenza a pubblico ufficiale.

Lunedì Sebastiano e la compagna si rivolgono a un avvocato, Paolo Signorello, intenzionati a denunciare. «Il giorno dopo, però, tornano e la ragazza mi invita ad alleggerire la sua posizione perché non vuole essere più di tanto coinvolta – racconta il legale – Quando ci incontriamo di nuovo il giovedì sera Sebastiano era ammutolito, parla solo la ragazza e mi dice che non hanno più intenzione di presentare nessuna denuncia. Ho avuto l’impressione – afferma il legale – che il ragazzo avesse subito questa decisione presa da altre persone, anche perché la prima volta che era venuto da me era fermamente convinto».

Nella notte fra venerdì e sabato Sebastiano si impicca, dopo aver distrutto la sua scheda telefonica, e quelle del fratello e della compagna e dopo aver fatto sparire il proprio cellulare, che a oggi non è stato ancora ritrovato. «È importante riuscire ad accertare quello che è successo nelle ore precedenti al suicidio – spiega l’avvocato – e quali contatti ha avuto il ragazzo. Io non ho ancora avuto la possibilità di parlare con il padre della ragazza, vorrei capire se ha avuto un ruolo in questa vicenda».

Il 28 giugno l’avvocato Signorello, su mandato dei familiari del ragazzo, ha presentato alla Procura di Siracusa una denuncia contro il poliziotto Gaetano Salafia, presunto autore dell’aggressione. Mentre si attendono i risvolti che potrebbero venire dall’autopsia, negli ambienti investigativi c’è il massimo riserbo. Pur non escludendo la possibilità di un errore da parte di Salafia, esiste il timore che il poliziotto possa diventare oggetto di un attacco e l’intera vicenda strumentalizzata per delegittimare il suo lavoro di contrasto al traffico di droga gestito dalla criminalità locale.

Marta Silvestre

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