Oggi è il 25 aprile. Sono passati 67 anni da quella data che a noi siciliani purtroppo non appartiene. Non sono nostre le emozioni, il travaglio interiore, le lacerazioni drammatiche, le scelte dolorose, le vittime che rappresentarono per lItalia il prezzo pagato per redimersi da venti anni di pavida acquiescenza nei confronti del Fascismo.
Liberati quasi due anni prima dalle truppe americane che erano sbarcate sulle nostre coste, ben protette dagli accordi tra la mafia siciliana e cosa nostra doltre oceano, i siciliani non vissero alcuna redenzione, né ebbero modo di interrogarsi sulla propria passività.
Quando, come quasi ogni anno, mi reco al cippo che al Giardino Inglese ricorda i martiri siciliani della Divisione Aqui a Cefalonia e guardo negli occhi i pochi reduci, mi coglie una grande emozione poiché, in realtà, quei ragazzi furono gli unici della nostra terra che, posti davanti ad una scelta indifferibile, seppero da quale parte stare, anche a prezzo della propria vita.
Per il resto, la Sicilia transitò senza traumi, come è usa da millenni, alla nuova realtà delle cose. Unintera classe dirigente fortemente compromessa con il regime trovò il modo di riciclarsi rapidamente nel Partito Monarchico e, soprattutto, nella Democrazia Cristiana. Nessun lavacro purificatorio, nessuna pubblica autocritica, neanche un gesto minimo di resipiscenza si registrò in Sicilia in quegli anni e quando il 25 aprile del 1945 Milano, Bologna, Ferrara, Venezia, Napoli ed altre città italiane ebbero finalmente il meritato orgoglio di innalzare il tricolore, noi ci limitammo ad unirne il vessillo alla bandiera a stelle e strisce.
Molto di quando accade allora rappresenta la radice e la causa di ciò che oggi la Sicilia ancora è. Una terra dallidentità politica indistinta nascosta per oltre mezzo secolo dietro lambiguo schermo dellIndipendentismo prima e dellAutonomia poi. Un regione di cinque milioni di abitanti, una quasi nazione separata non solo dallo Stretto di Messina dal resto da quellItalia a cui non ha mai sentito – forse a ragione – di appartenere e con cui identificarsi.
Come già nel 1799, quando Palermo accolse con grande pompa i Borboni in fuga da Napoli, ritardando di mezzo secolo la consapevolezza dei valori della Rivoluzione Francese, dal 1943 al 1945 la Sicilia intera perse unaltra occasione per entrare nella modernità, esclusa come fu da quel travaglio interiore che altrove rinnovò in larga parte il resto del Paese.
Poi venne lAutonomia. Un patto per frenare le spinte indipendentiste concedendo potestà e poteri ancora oggi mai esercitati in nome dellascarismo della maggior parte dei politici locali che barattarono ogni cosa, ogni valore per un piatto di lenticchie. E ciò riguardò, e ancora oggi riguarda, anche i partiti della Sinistra che, nellimpossibilità di governare direttamente, inaugurarono una stagione di consociativismo e di collusione che permettesse loro di esercitare comunque quel potere sotterraneo necessario a mantenerli in vita.
A nulla valsero i rimproveri di Pio La Torre, il richiamo alla questione morale di Enrico Berlinguer, il sacrificio di Servitori dello Stato e dei pochi, isolati esponenti politici che si opposero a tutto ciò. A nulla valsero e ancora oggi a nulla valgono davanti allinfamia perpetrata da tardi epigoni di quella stagione che esitano ad abbandonare al proprio destino il governo più disdicevole che la Sicilia abbia mai avuto e colui che lo presiede senza provare né vergogna né responsabilità per il male che sta facendo a questa terra.
Nessun rimorso, nessun moto di coscienza che induca a rivedere scelte ed azioni animate da una doppiezza e da unarroganza senza limiti. Al posto di ciò, lennesimo tentativo di sporcare tutto, anche la speranza del futuro. Dalle primarie al futuro di giovani brillanti e meritevoli tenuti in ostaggio a motivo dello stato di bisogno e di dipendenza dalla politica clientelare, dallincapacità a progettare il cambiamento allutilizzo spregiudicato dellambizione di giovani tribuni per attirarli nella propria orbita oscura.
Non ci fu Liberazione in Sicilia e non ci sarà neanche oggi. Dinanzi a quel Cippo al Giardino Inglese sfileranno ancora una volta i sepolcri imbiancati che mai proveranno un sia pur breve sentimento di vergogna davanti a quel marmo segnato dal tempo. Al collo dei reduci di Cefalonia e dei pochi superstiti partigiani che vissero altrove quelle giornate, il fazzoletto azzurro servirà solo ad asciugare lacrime di rimpianto per ciò che la Sicilia sarebbe potuta essere e, che ancora oggi, non è.
Foto dello sbarco in Sicilia trattada anpi-lissone.over-blog.com
Foto di prima pagina sul 25 aprile tratta da reset-italia.net
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