Augusta, gli interessi criminali nell’edilizia «Privati favoriti da Comune e polizia locale»

Anomalie e irregolarità nell’assegnazione di lavori pubblici, appalti aggiudicati a imprese in odor di mafia, protocolli di legalità rimasti sulla carta o disattesi. E ancora abusi edilizi, programmi costruttivi e piani di lottizzazione «realizzati nell’interesse di soggetti privati riconducibili alle organizzazioni mafiose» e favoriti da un piano regolatore non aggiornato e spesso eluso. Scorrendo le motivazioni alla base dello scioglimento per mafia del Consiglio comunale di Augusta deciso lo scorso 7 marzo, si nota che è proprio sul capitolo dedicato alle infiltrazioni mafiose nell’edilizia che più si è concentrata l’attenzione degli inquirenti. Una ricostruzione delle dinamiche di sviluppo del tessuto urbano e degli insediamenti produttivi – «per lo più determinato dai privati» – su cui convergevano gli interessi della criminalità mafiosa megarese e dei clan del Messinese, secondo le indagini anch’essi operanti in città. Il risultato è uno «sfruttamento del territorio» basato su «logiche in contrasto con la tutela degli interessi pubblici», sottolinea il ministro degli Interni Annamaria Cancellieri.

Nel fascicolo ministeriale si attesta «l’incapacità dell’amministrazione locale di far fronte alle ingerenze della criminalità organizzata». Lo dimostra, secondo le indagini, la «sostanziale disapplicazione» del protocollo regionale che dovrebbe servire proprio a prevenire i tentativi di infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici. Tra le opere interessate da anomalie, il restauro del convento di San Domenico, finanziato dal dipartimento regionale di protezione civile. L’appalto era stato aggiudicato nel 2006 al consorzio stabile Aedars di Roma, «il cui legale rappresentante risulta coinvolto, insieme ad altri soggetti facenti parte di altre società costituenti il consorzio stesso in procedimenti penali per reati di turbata libertà degli incanti, associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta ecc.», scriveva l’ex prefetto di Siracusa Renato Franceschelli nella sua relazione inoltrata al ministro degli Interni. Non solo: tra i fornitori di una delle imprese consorziate figuravano personaggi o imprenditori vicini all’ambiente malavitoso.

«Elementi significativi della penetrante forza prevaricatrice delle locali organizzazioni» sarebbero inoltre emersi nella procedura di assegnazione dell’appalto, nell‘ottobre del 2008, per l’adeguamento delle vie di fuga del lungomare Rossini-Granatello. Un intervento «di particolare interesse per la locale cellula mafiosa» che pensava ad infiltrarsi «nel sottobosco dell’appalto» e avrebbe esercitato pressioni sul sindaco Massimo Carrubba «per sollecitarne l’impegno a favorirli nell’assegnazione dei lavori in cambio dell’appoggio elettorale ricevuto» alle amministrative del 2008, si legge nella relazione.

Ma è soprattutto nel settore urbanistico che le indagini evidenziano la permeabilità dell’ente megarese ai condizionamenti del gruppo affaristico mafioso egemone in città, anche in anni precedenti all’amministrazione Carrubba, a partire dai primi anni ’90. L’approvazione di programmi costruttivi e di piani di lottizzazione – «d’iniziativa privata» – non sarebbe stata valutata dagli organi comunali preposti secondo i criteri ispiratori del piano regolatore generale. Una circostanza che portava già il prefetto Franceschelli a concludere che lo stesso piano regolatore «non è mai stato governato dal Comune, i cui organi elettivi hanno sostanzialmente abdicato ad una delle principali funzioni di salvaguardia degli interessi collettivi». A prevalere, ancora una volta, sarebbero stati gli interessi privati di persone «vicine ad organizzazioni malavitose».

Emblematico del sistema dominante ad Augusta, secondo il prefetto, è l’iter che ha condotto all’approvazione del piano degli insediamenti produttivi di contrada Balate, in variante al piano regolatore generale. In quel caso i componenti del consiglio comunale, sia di maggioranza che di opposizione, non hanno formulato alcun rilievo sul procedimento di approvazione del piano «sebbene gravato da diverse anomalie e irregolarità», si spiega nella relazione. Alcuni personaggi del locale gruppo affaristico mafioso unito ai clan messinesi sarebbero così riusciti a mettere le mani sulla realizzazione del progetto, individuando «un pacchetto d’imprese che avrebbero avuto un canale privilegiato per l’assegnazione e acquisizione della proprietà dei lotti». A conti fatti, solo il 20 per cento dell’intera superficie destinata alle attività produttive sarebbe rimasta a disposizione del Comune.

L’iter amministrativo concernente il piano era infatti culminato nel 2002 in un accordo tra l’allora amministrazione guidata dal democristiano Pippo Gulino e un consorzio di piccole e medie imprese denominato Consil, di cui una parte dei soci sarebbero riconducibili alle organizzazioni criminali. I termini dell’intesa erano stati predisposti «ad esclusivo vantaggio» di un soggetto privato «che aveva anche scelto l’area sui cui realizzare le opere di urbanizzazione». Da ultimo, nel giugno 2011, le stesse procedure di espropriazione delle aree interessate dai lavori erano state aggiudicate ad una ditta – la Tecno Survey di Carlentini – il cui legale rappresentante secondo la relazione ministeriale – avrebbe avuto «rapporti d’affari con soggetti riconducibili alla locale organizzazione criminale».

Dall’esame delle due relazioni, ministeriale e prefettizia, risulta infine «un massiccio fenomeno di abusivismo edilizio anche in conseguenza del poco incisivo operato della polizia locale» che avrebbe favorito il controllo del territorio da parte delle cosche mafiose. A testimoniare la portata del fenomeno, le circa dodicimila istanze di condono edilizio, delle quali appena il 10 per cento definite.

 

[Foto di Luciana.Luciana]

Gianmarco Catalano

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