Ati Group, dal Re della sanità alla confisca «Minacciati, ma opinione pubblica silente»

«Dite ai vostri mariti di fare attenzione, dai piani alti possono sempre cadere dei mattoni». Lettere di questo tono, indirizzate negli anni a direttori dei lavori ed operai. Non un episodio isolato, ma atti ripetuti nel cantiere per la costruzione di una nuova ala dell’ospedale Maria Santissima Addolorata di Biancavilla. Un appalto supermilionario, troppo ghiotto per i poteri mafiosi. Ma sulla serie di lettere minatorie e ad altre analoghe indirizzate ai dirigenti del cantiere dell’ospedale di Bronte, su cui da anni c’è l’attenzione delle Dda di Catania e Palermo, i risvolti potrebbero non essere semplicemente legati a tentativi estorsivi.

C’è dell’altro, forse. L’impresa incaricata dei lavori, sia a Biancavilla che a Bronte, non è una qualsiasi, ma è la Ati Group del noto ex gruppo Aiello di Bagheria, legato al boss Bernardo Provenzano, il cui patrimonio da 800 milioni di euro risulta confiscato dall’agenzia statale che di questo si occupa. Andrea Dara è l’amministratore giudiziario del patrimonio del Re della sanità siciliana ed è stato al cantiere di Biancavilla in questi giorni con il commissario dell’Asp di Catania, Rosalia Murè, per annunciare il riavvio dei lavori (mancano gli ultimi 45 giorni di interventi per l’ultimazione), dopo lo stop che dura da marzo, proprio per inghippi burocratici dovuti allo status di azienda confiscata.

«Nel cantiere per il nuovo plesso ospedaliero di Biancavilla –ricorda Dara– abbiamo subìto molte infiltrazioni mafiose e almeno 7-8 atti intimidatori e di sabotaggio in 4-5 anni. Peccato che l’opinione pubblica locale non ci sia stata vicina». È un’amara constatazione, quella che fa Dara: «Le intimidazioni si sono esplicitate sempre con lettere minatorie indirizzate ai direttori dei lavori e agli operai e con atti tesi ad isolarci rispetto ai fornitori locali. Per fortuna nessun danno causato ai mezzi».

L’amministratore ha auspicato invano la costituzione di una sorta di presidio civico nel centro etneo. «Fenomeni di questo tipo, peraltro su opere così importanti che interessano tutti, andrebbero contrastati dalla collettività per poterli arginare – spiega Dara – A Biancavilla, invece, c’è stata un’opinione pubblica non particolarmente presente. Anzi, diciamolo: è stata assente». Parole che confermano l’atteggiamento distaccato e quasi impassibile del centro etneo (un tempo vertice del tristemente famoso Triangolo della morte con Adrano e Paternò), che ha reagito timidamente persino quando lo scorso gennaio il paese è ripiombato in un clima di terrore con due omicidi nell’arco di due giorni.

In compenso, il lavoro sotterraneo e silenzioso di carabinieri e inquirenti continua. «Da quello che ho capito – sottolinea Dara – le indagini sulle intimidazioni che abbiamo subito negli anni passati sono ormai mature. Sono stato recentemente sentito dalla polizia giudiziaria per alcuni dettagli e ho intuito, di fatto, che le cose stanno andando avanti e probabilmente presto avremo dei riscontri concreti».

Vittorio Fiorenza

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