Spari contro la nave di Medici senza frontiere impegnata nelle operazioni di recupero dei migranti nel Canale di Sicilia. Una raffica da una distanza di 400-500 metri. E poi uomini armati a bordo per una cinquantina di minuti. Il tempo necessario a perlustrare l’imbarcazione senza portare via nulla e ad andarsene. L’equipaggio per tutto il tempo è rimasto sotto coperta, in un’area sicura appositamente ricavata. È successo la mattina del 17 agosto, a essere coinvolta è stata la Bourbon Argos, una delle tre imbarcazione con cui Msf svolge questo servizio in mare e con cui, a partire dallo scorso 21 aprile ha recuperato 10mila 925 persone in 84 diverse operazioni di soccorso. La Ong ha reso nota notizia solo ieri sera.
«Anche se non conosciamo l’identità degli aggressori o la loro motivazione, da una nostra prima ricostruzione dei fatti riteniamo che fossero dei professionisti e ben addestrati – spiega Stefano Argenziano, coordinatore delle operazioni di Msf -. Si tratta di un attacco serio e preoccupante, perché gli spari verso la nave avrebbero potuto mettere in serio pericolo il nostro staff».
Il mezzo da cui sono partiti gli spari è stato avvistato alle 9.15. L’attacco è avvenuto in acque internazionali, a 24 miglia nautiche a nord della costa libica. «Vista la mancanza di una chiara identificazione, di comunicazione e di una qualsiasi risposta radio – si legge nella nota di Msf – dal motoscafo che si stava avvicinando, il team ha preso la misura precauzionale di spostarsi nell’area sicura designata all’interno della nave. Uomini armati sono saliti a bordo della Bourbon Argos e hanno cominciato a perlustrarla, lasciandola circa 50 minuti dopo, senza rubare o portar via nulla. Il danno alla nave è stato minimo, solo qualche segno dei diversi proiettili sparati. Grazie alle procedure di sicurezza messe in atto, tutti i membri del team sono stati al sicuro, rimanendo per tutto il tempo nell’area protetta». La Ong ricorda quindi come il suo unico obiettivo è «salvare e fornire assistenza medica ai migranti e ai rifugiati che – in mancanza di vie legali e sicure – ogni giorno cercano di attraversare il mare».
Dopo l’episodio l’imbarcazione è rientrata in Sicilia, dove rimarrà per analizzare quanto accaduto. Nel frattempo, le attività di ricerca e soccorso proseguono attraverso le navi Dignity I e Aquarius (in collaborazione con SOS Mediterranee). «Nonostante il numero di morti continui ad aumentare in modo drammatico, e la situazione in Libia a deteriorarsi – aggiunge Argenziano – l’attenzione europea continua a essere concentrata sulla deterrenza e sulla sicurezza, un approccio che consideriamo pericolosamente miope e completamente inadeguato a rispondere a questa crisi. La ricerca e il soccorso sono solo misure palliative per far fronte alla mancanza di vie legali e sicure: oggi più che mai l’Europa e gli Stati membri devono mettere in atto un meccanismo proattivo per salvare vite umane e aiutare coloro in cerca di sicurezza».
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