Artemisia, Fava chiede a Micciché dibattito in Aula «Musumeci si degni di venire in Ars a confrontarsi»

«Non siamo interessati a processi sommari o a rituali richieste di dimissioni a ogni iscrizione nel registro degli indagati. Ma alla politica compete obbligatoriamente il ruolo di valutazione, discussione, confronto». Poche righe, quelle messe nero su bianco dal presidente della Commissione regionale antimafia Claudio Fava e indirizzate al primo inquilino di sala d’Ercole Gianfranco Miccichè. Ma con le quali si chiede formalmente alla politica regionale di non girarsi dall’altra parte, di non fare finta di nulla, sugli arresti eccellenti degli ultimi giorni. «Per questo le chiediamo – scrive ancora Fava – di calendarizzare con urgenza un dibattito in questa Aula alla presenza del presidente della Regione su quanto sta accadendo e sulle sue conseguenze politiche sulla maggioranza di governo».

Presidente Fava, 16 deputati e quattro assessori indagati, sembriamo tornati alle passate legislature. Come si affronta il problema?
«Si affronta con realismo: prendendo atto che la questione morale nella politica siciliana non è mai stata archiviata. E questo perché in Sicilia c’è un dato strutturale, che prescinde dal lavoro della magistratura, che è la fortissima esposizione della politica al malaffare, al compromesso, alla corruzione». 

Perché, a suo avviso, in Sicilia accade più che altrove?
«Perché in Sicilia c’è un senso di impunità più forte che altrove. Ma anche perché la domanda è più pressante che altrove. Non bisogna guardare soltanto al ruolo del politico, ma anche a quello dell’imprenditore, del fabbricante di voti, del faccendiere, che offre, cerca, corrompe».

Musumeci dice di non trasformare l’indagato in colpevole. Cosa ne pensa? 
«Quelle di Musumeci sono dichiarazioni che non dichiarano. Che significa? Siamo tutti fiduciosi nel lavoro della magistratura, qui non si tratta di fare un atto di fede nei confronti della magistratura, ma di stabilire se, tra il silenzio cocciuto e tenace con cui Musumeci passa in trasparenza da un’indagine e all’altra che riguarda la sua maggioranza e le forche di chi è sempre pronto a chiedere dimissioni, ci sia invece una via di mezzo. Che sta nell’ nvestire l’Assemblea, con una seduta specifica, sulla legittimità complessiva di questa maggioranza, ma anche sulla permeabilità, più in generale, della politica. Perché quando leggiamo che un ex deputato di questo parlamento, Giovanni Lo Sciuto, diceva “andiamo al governo e ci spartiamo il bottino”, dobbiamo capire che al di là delle eventuali responsabilità personali di questo signore, c’è un tema in Sicilia: che si pensi che fare politica sia un assalto alla diligenza. Dopo la stagione di Cuffaro, dopo la stagione di Lombardo, la politica ritiene che tutto questo abbia ancora diritto di cittadinanza? O no? Non possiamo limitarci a dire “aspettiamo le sentenze”, la politica è chiamata a ragionare, a elaborare. Musumeci è chiamato a uscir fuori dalle recondite stanze del suo palazzo e degnarsi di farsi vedere in Assemblea. 

Ancora a proposito del governatore: nella sua nota, Musumeci torna sul codice etico. Pensa che sia uno strumento realmente utile e in che termini? 
«Allora, la commissione antimafia sta lavorando a un codice etico che tra qualche settimana verrà proposto all’esame dell’Aula. Il punto è che la morale non passa attraverso le regole, ma attraverso la capacità della politica di trovare se stessa. Invece continuiamo ad agitare simboli come se fossero salvici».

A Castelvetrano il Centro Sociologico Italiano che fa da contenitore alle logge massoniche viene paragonato dal gip al Circolo Scontrino: sembra quasi che non sia cambiato niente dopo tanti anni.
«In effetti non è cambiato molto. Nemmeno nella sottovalutazione dell’uso che taluni possono fare della massoneria, non della massoneria in se stessa. Lo dimostrano talune reazioni talvolta isteriche di alcuni deputati davanti una norma di buonsenso che abbiamo esitato in Aula». 

Pensa che le elezioni a Castelvetrano vadano bloccate?
«Sono preoccupato dalla reale agibilità democratica. Ma meglio di me credo che una valutazione possa essere fatta dai commissari».

In provincia di Trapani sembra che il risultato elettorale sia figlio di uno scontro tra sistemi criminali. C’è in quel territorio un’emergenza diversa? Con caratteristiche proprie?
«Il Trapanese è stato il granaio della mafia, luogo in cui si ammassavano armi, risorse, contatti, denari, banche, al riparo da occhi indiscreti. È innegabile che sia stata una provincia che ha goduto di una minore attenzione mediatica rispetto alla caotica Palermo. E dunque una provincia in cui hanno lavorato oggettivamente in modo significativo certi ambienti criminali».

Salvo Catalano

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