«Santa Caterina SballOlives» e «Kannamang». Sono queste due delle etichette trovate apposte ai barattoli conservati nella dispensa di Carmelo Chiaramonte, 50enne di Trecastagni (ma originario di Modica, nel Ragusano) che si è definito uno chef freelance. Nel barattolo c’erano olive trattate con la marijuana, anche nel vino contenuto nelle bottiglia era stata aggiunta la stessa sostanza stupefacente. Anche caffè e tonno erano altri ingredienti aromatizzati alla cannabis.
Nell’abitazione presa in affitto dall’uomo i carabinieri della stazione di Pedara hanno trovato, nascoste tra la vegetazione e i panni
stesi, anche due piante di marijuana di 2,5 metri d’altezza e alcuni recipienti con le infiorescenze per l’essiccazione, per un totale di oltre mezzo chilo di
marijuana. Oltre ai barattoli con gli alimenti aromatizzati alla cannabis.
L’uomo ha raccontato ai militari di
considerarsi un «consulente agroalimentare della cucina mediterranea del terzo millennio», e di
operare nel settore gastronomico alla «ricerca di nuovi gusti e aromi a beneficio dei palati sopraffini». Il 50enne, inizialmente relegato ai domiciliari, dopo la convalida dell’arresto è tornato in libertà in attesa
di essere giudicato per detenzione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Riceviamo e pubblichiamo: Io sottoscritto avvocato Rita Faro, in qualità di difensore dello chef Carmelo Chiaramonte, in riferimento alle recenti notizie di cronaca che lo hanno coinvolto, intendo precisare che il mio assistito si dichiara estraneo alle accuse mosse nei suoi confronti.
Lo chef ha infatti svolto in questi anni – con l’approccio sperimentale e innovativo a tutti noto e ampiamente documentato dalla rassegna stampa che copre tutta la sua carriera – importanti studi sull’origine e sulle proprietà degli alimenti, approfondendo anche le loro proprietà benefiche e terapeutiche: lo dimostra nell’ultimo anno la partecipazione a numerosi convegni nazionali e internazionali sul tema, con specifico riferimento ai regimi alimentari dei malati oncologici. Proprio in questo contesto lo chef Chiaramonte ha approfondito – in linea con un filone di ricerca internazionale non certo sconosciuto al dibattito pubblico, medico, sociale e politico – gli aspetti relativi all’effetto terapeutico della cannabis come terapia del dolore e in particolare gli aspetti legati agli effetti della sostanza tramite la somministrazione alimentare.
Viene così spiegata la coltivazione della cannabis e la preparazione di alimenti con la sostanza suddetta, destinati unicamente all’utilizzo e alla sperimentazione personale ma non alla cessione a terzi. Evidenziamo infatti che il giudice ha immediatamente rimesso in libertà lo chef Carmelo Chiaramonte in sede di convalida dell’arresto e che ha ritenuto non sussistenti gli indizi di colpevolezza in riferimento alla commercializzazione degli alimenti “addizionati” in quanto destinati per l’appunto a tutt’altra finalità.
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