Servizio idrico, il nodo di 52 Comuni del Palermitano Si pensa alla gestione pubblica: ma i soldi dove sono?

Si sta rivelando più complicata del previsto la ricerca della soluzione per scongiurare l’interruzione del servizio idrico in 52 Comuni della provincia di Palermo. La storia è nota. Nei mesi scorsi la società che gestiva questo servizio – Acque potabili siciliane (Aps) – è fallita. Dopo vani tentativi di trovare un gruppo imprenditoriale disposto a sostituire Aps, il Governo regionale di Rosario Crocetta ha presentato un disegno di legge all’Assemblea regionale siciliana che punta, sostanzialmente, a una sorta di gestione pubblica. Anche se ancora non è chiaro da dove dovrebbero essere presi i soldi (e a quanto pare ce ne vogliono parecchi, più del previsto). 

Il disegno di legge del Governo prevede uno stanziamento pari a 2,4 milioni di euro per gestire il servizio sino alla fine di quest’anno. E poi altri otto milioni di euro circa per i primi cinque-sei mesi del prossimo anno. Il provvedimento è già all’esame della commissione Bilancio e Finanze dell’Ars. E qui, almeno per ora, si è fermato in attesa che gli uffici della Regione forniscano ulteriori dettagli tecnici. Proviamo adesso a illustrare quali sono i problemi non ancora risolti di una vicenda che definire complicata è poco. 

Iniziamo dal quadro generale. A Palermo e provincia una parte del servizio idrico degli oltre 80 Comuni viene gestito dall’Amap. Si tratta dell’ex municipalizzata del capoluogo siciliano – oggi società per azioni – che gestisce Palermo e una trentina di altri Comuni. Qui, tutto sommato, le cose funzionano. Gli altri 52 Comuni venivano gestiti da Aps. Quest’ultima gestione, per vari motivi, non è mai stata brillante. Tanto che, nei mesi scorsi, la società è fallita. 

Ci sono stati tentativi per sostituire Aps con altri gruppi privati. E’ stata anche ventilata la possibilità di affidare la gestione all’Amap. Ma tutti – privati e Amap – si sono tirati indietro. Perché? Intanto perché chi subentrerà ad Aps si dovrebbe caricare il costo di 202 lavoratori che prestavano servizio per Aps. E poi perché, a monte, c’è un inghippo presente in tante parti della Sicilia, ma particolarmente presente in questi 52 Comuni. 

Secondo quanto prescrive l’Unione europea, la tariffa dovrebbe coprire tutto il servizio idrico. Ma in tanti Comuni della Sicilia mancano ancora i contatori distribuiti per ogni famiglia. In pratica, in tanti Comuni – anche se il fenomeno non è generalizzato – c’è un contatore per ogni palazzo (e nei centri dove trionfa l’abusivismo edilizio non ci sono nemmeno questi e non si comprende come l’acqua arrivi nei rubinetti). 

In questo scenario, con la crisi economica, tante famiglie dicono di non avere i soldi per pagare: da qui il caos, perché chi gestisce il servizio non può tagliare l’acqua – ad esempio – ad una palazzina dove due famiglie su dieci non la pagano. Tutto questo genera confusione e diseconomie di gestione. La confusione, in Sicilia, in materia di bollette dell’acqua raggiunge livelli inimmaginabili. In provincia di Agrigento, ad esempio, tra un Comune e l’altro, a parità di consumi idrici, ci sono differenze, nelle bollette, del 100-150 per cento. Ovvio che i cittadini ai quali rifilano le bollette più salate si lamentino (alcuni hanno deciso di non pagare più). 

Alla base di questa confusione c’è un legge nazionale dei primi anni del 2000 – voluta dal Governo Berlusconi 2001-2006 – che ha privatizzato il servizio. E ad aumentare il caos contribuisce la mancanza, in tanti Comuni, di contatori dei consumi idrici per ogni abitazione. A complicare ulteriormente tutto hanno pensato gli ultimi tre Governi regionali – quello di Totò Cuffaro, quello di Raffaele Lombardo e l’attuale di Rosario Crocetta – che hanno solo peggiorato la situazione. 

Il Governo Cuffaro si è adagiato sulla privatizzazione berlusconiana che ha mostrato grandi limiti. Il Governo Lombardo ha ceduto ai politici che pensavano di fare affari con l’acqua privata. Crocetta, che nella campagna elettorale del 2012 prometteva il ritorno alla gestione pubblica (come stabilito dal referendum nazionale del 2011), da due anni a questa parte non ha posto alcun rimedio.

Oggi il Governo Crocetta presenta il disegno di legge per pubblicizzare il servizio idrico in 52 Comuni della provincia di Palermo, un’iniziativa legislativa che – è proprio il caso di dirlo – fa acqua da tutte le parti.  

Intanto manca la relazione tecnica. Non si capisce perché per chiudere il 2014 basterebbero 2,4 milioni di euro, se è vero che i 202 dipendenti dell’ex Aps, dai primi mesi di quest’anno fino ad oggi, hanno lavorato senza essere pagati. E non si capisce perché, per i sei mesi del prossimo anno o giù di lì, il servizio dovrebbe costare 8 milioni di euro. 

Vero è che gestione idrica non significa solo distribuzione dell’acqua alle abitazioni, ma anche, ad esempio, gestione e manutenzione dei depuratori. Ma come si può presentare un disegno di legge così importante senza dettagliare i costi? E come ha fatto questo disegno di legge senza relazione tecnica ad arrivare in Commissione Bilancio e Finanze?

Non solo. Il Governo vorrebbe prendere i soldi – i 10,4 milioni di euro – dal Fondo regionale per le autonomie locali ormai ridotto al lumicino. Sono i soldi che la Regione stanzia per i Comuni. Per quest’anno – con riferimento ai 2,4 milioni di euro – la manovra potrebbe anche andare bene, perché questi soldi verrebbero pagati, di fatto, dai 52 Comuni del Palermitano ai quali, fino ad oggi, è stato assicurato il servizio idrico. 

Ma il discorso non fila per il 2015, perché buona parte degli 8 milioni di euro dovrebbe essere tolta agli altri Comuni dell’Isola. Da qui la domanda: perché il disservizio idrico dei 52 Comuni del Palermitano dovrebbe essere pagato dagli altri Comuni della Sicilia? Per non parlare del fatto che l’Unione europea ha stabilito che il costo del servizio idrico deve essere assicurato dalle tariffe e non da interventi a carico di enti pubblici. 

All’orizzonte si potrebbero prospettare altre due soluzioni: o la gestione comunale (cosa che si fa in alcuni Comuni dell’Isola dove l’acqua ai cittadini costa meno), o la gestione in affidamento all’Eas, l’Ente acquedotti siciliani, ente regionale posto in liquidazione nei primi anni del 2000, ma mai liquidato visto che ancora oggi gestisce il servizio idrico in circa 40 Comuni della Sicilia.

Nota a margine 

In tutto questo non si capisce che fine ha fatto il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua. E’ stato presentato tre anni fa all’Ars ma è sparito nelle sabbie mobili di Sala d’Ercole. D’altro canto, si è impantanato anche per il contributo dell’attuale governo regionale.     

Giulio Ambrosetti

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