Completo scuro, passo calmo, sguardo alla Corte e spalle rigorosamente voltate al resto dell’aula, gremita per l’occasione. Eccolo Silvio Berlusconi, l’ex premier citato al processo d’appello sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, che dopo una prima notifica andata a vuoto oggi si è presentato. Tanta attesa per nulla, però. Dopo pochi minuti, alla domanda di rito del presidente Angelo Pellino sulle sue intenzioni, Berlusconi si schiarisce la voce e replica subito: «Su indicazione dei miei avvocati intendo avvalermi della facoltà di non rispondere». Un esito ampiamente previsto da molti in aula. Per l’occasione si erano presentati tutti, dagli avvocati che spesso disertano le udienze di questo processo per seguirne altre, alla stampa che si era presentata già di buon mattino al completo, armata di microfoni e telecamere per immortalare ogni passaggio dell’occasione. Inutili, comunque, perché l’ex premier ha disposto immediatamente di non essere ripreso per alcuna ragione.
A fare da sfondo uno stuolo di forze dell’ordine a presidiare ogni spazio, fuori e dentro l’aula bunker dell’Ucciardone. All’interno del quale il processo si era aperto, poco prima dell’ingresso di Berlusconi, con una richiesta della difesa di Marcello Dell’Utri. Quella di proiettare, a inizio esame del teste, un video con alcune dichiarazioni di Berlusconi rese alla stampa il giorno della sentenza di primo grado del processo trattativa, il 20 aprile 2018. «Riteniamo sia un fatto che quel giorno lui renda delle dichiarazioni su fatti di questo procedimento – spiega l’avvocato Centonze -, sostenendo che il governo Berlusconi nel ’94 non abbia mai ricevuto minacce da parte di Cosa nostra, ribadendolo anche per i governi successivi sempre da lui presieduti». Richiesta rigettata però dalla Corte, dopo alcuni minuti di camera di consiglio: «La visione da parte del giudice non costituisce attività diretta di acquisizione della prova, quindi non deve essere visionato in fase di dibattimento. Si dispone comunque la trascrizione del documento audio in questione, a beneficio di tutte le parti». Già il pg Giuseppe Fici si era opposto pochi minuti prima: «Quest’aula non è uno studio televisivo – osserva il pg -, l’ex premier Berlusconi non ha rilasciato dichiarazioni ma un’intervista. Non credo che quanto detto a un giornalista possa essere alternativo a quanto potrebbe dire direttamente a questa Corte. Il documento video e audio in questione, comunque, è stato prodotto, può essere esaminato in qualunque momento, non c’è alcuna esigenza di proiettarlo qui oggi».
L’ex premier e fondatore di Forza Italia, indagato dalla procura di Firenze per le stragi mafiose del 1993, sarebbe stato sentito oggi come teste assistito e come tale avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere. Citato dalla difesa di Marcello Dell’Utri (condannato a 12 anni in primo grado) – richiesta alla quale si è associata anche l’accusa -, il Cavaliere avrebbe dovuto deporre già il 3 ottobre, insieme all’ex pm Antonio Di Pietro. Ma nei giorni scorsi i suoi avvocati, Fausto Coppi e Nicolò Ghedini, avevano preventivamente fatto sapere che non ci sarebbe stato a causa di impegni istituzionali pregressi a Bruxelles. Con la stessa nota davano anche conferma delle indagini a carico dell’ex premier e degli episodi che gli vengono contestati dai magistrati di Firenze.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, all’epoca dell’ingresso di Berlusconi nella scena politica, Dell’Utri sarebbe diventato il nuovo tramite istituzionale dei boss di Cosa nostra, avvalendosi dei suoi rapporti con Vittorio Mangano, mafioso trapiantato in Lombardia e molto vicino a Berlusconi, per il quale lavorò anche come stalliere. E che, secondo quanto raccontato dal collaboratore catanese Francesco Squillaci, «scriveva telegrammi a Berlusconi, gli chiedeva aiuto per non essere più massacrato, solo che tornavano tutti indietro e lui poi li stracciava», ha raccontato il pentito alla stessa corte che oggi ascolta l’ex premier. Mangano avrebbe lamentato nelle sue missive sempre le stesse cose, «che stava male, che lo stavano facendo morire, che il 41 bis era durissimo, chiedeva di mandare qualcuno a fare un’ispezione. Mangano diceva a mio padre (Giuseppe Squillaci ndr) che Berlusconi era l’unica persona che poteva aiutare i mafiosi».
Berlusconi, insomma, sarebbe tra i presunti protagonisti della trattativa fra lo Stato e la mafia, proprio nell’epoca in cui veniva fondato Forza Italia. Ma a tirarlo in ballo è stato involontariamente anche il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, i cui sfoghi e racconti a un compagno di detenzione, il camorrista Umberto Adinolfi, sono stati intercettati dagli inquirenti. «Sa che io non parlo – diceva intercettato – perché sa il mio carattere e sa le mie capacità…pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste».
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