Appello di Greenpeace: “Bloccare le trivelle nel Mediterraneo”

Viva la foca. I deputati regionali del Movimento 5 Stelle in Sicilia, Greenpeace, associazioni ambientaliste e rappresentanti del mondo della pesca non ci stanno a vedere il Mare Nostrum saccheggiato dalle trivellazioni, giustificate solo dalla folle corsa all’oro nero. Che, per altro, nel Canale di Sicilia inizia a scarseggiare.

Da un recente studio dell’associazione ambientalista, presentato oggi, a Palermo, alla Sala Rossa di Palazzo Reale (o dei Normanni) dove si è svolta un’audizione pubblica convocata da Giampiero Trizzino, presidente della commissione Ambiente dell’Ars, alla quale hanno partecipato per offrire un parere i rappresentanti di varie associazioni ambientaliste, autorità ed esperti per cercare di fermare le perforazioni petrolifere off shore), è emerso che nella parte settentrionale del Canale si concentrano gli interessi di grosse compagnie petrolifere internazionali, come la Shell.

Il colosso petrolifero anglo- olandese è beneficiario, secondo Greenpeace, di ben sei permessi di ricerca su una superficie di 4.200 chilometri quadrati. Qui sono già state fatte esplorazioni per il petrolio e si vorrebbe continuare a farle: infatti, la compagnia pare abbia presentato cinque nuove istanze per effettuare ricerche. Di queste, una in fase di Valutazione dell’impatto ambientale (Via), proprio a Nord del banco Avventura. “Si tratta di una secca a sud della costa – spiega Alessandro Giannì, responsabile nazionale delle campagne di Greenpeace – tra Sciacca ed Agrigento, in vicinanza del banco di Graham (proprio nella parte del Mediterraneo dove, nel 1831, dai fondali marini emerse l’isola Ferdinandea, inabissatasi dopo circa sei mesi) per la quale vi sono invece due richieste di ricerca che aspettano solo l’approvazione del ministero dell’Ambiente, e contro cui i comitati locali e la nostra associazione hanno presentato delle osservazioni. L’esito dei procedimenti non è ancora noto”. (a sinistra, foto tratta da europrogress.it)

Al di là dei pareri, fondamentali per l’argomento trattato – la salvaguardia del mare, per l’appunto -gli ambientalisti e gli studiosi si sono ritrovati a Palazzo Reale, sede del Parlamento siciliano, soprattutto per chiedere al Governo regionale, nonché ai rappresentanti del popolo siciliano, di intervenire sulla faccenda con estrema urgenza, adottando tutte le misure necessarie per impedire il verificarsi di catastrofi pari a quella accaduta tre anni fa nel Golfo del Messico.

Ricordiamo, che in quel tratto di mare la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, della svizzera Transocean, la più grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore, ha causato il più grave disastro ambientale della storia americana, avendo superato di oltre dieci volte per entità quello della petroliera Exxon Valdez nel 1989. (a destra, foto tratta da fondali.it)

Da qui la richiesta al presidente della Regione di intervenire applicando Royalties sul petrolio (le aliquote che le compagnie devono pagare sul quantitativo estratto di petrolio) più elevate. “Perché – spiega ancora Giannì – diciamoci la verità, le tasse pagate da queste compagnie in Italia sono fra le più basse d’Europa, siamo nell’ordine dell’1 per cento. Mentre in altri Paesi si pagano Royalties superiori al 50 per cento”.

“Dunque- aggiunge – la Regione siciliana si faccia sentire, e si unisca ad altre regioni direttamente interessate, facendo fronte comune”. Ma cosa succede a livello legislativo? “Succede che le regioni non hanno competenza (il loro parere è obbligatorio, anche se non vincolante), che invece spetta allo Stato, mentre la Regione siciliana forte del suo Statuto, potrebbe provare a a far leva sulle decisioni del Governo centrale. Questo tipo di attività è stata incentivata proprio da una fiscalità molto vantaggiosa, che non si trova altrove”.

Strano paradosso: l’Italia che è il Paese tristemente noto per l’elevatissima pressione fiscale che esercita sulle famiglie e sulle imprese. Poi, però, quando si tratta di far pagare i petrolieri fa cento passi indietro. Chissà cosa ne pensa, di questo, il capo del Governo del nostro Paese, Mario Monti.

Come abbiamo già accennato, le tasse sugli idrocarburi nel Bel Paese sono tra le più basse del mondo: il 10 per cento per i giacimenti in terraferma, il 4 per cento offshore, contro una media delle aliquote applicate negli altri Paesi del mondo che oscilla tra il 20 e l’80 per cento.

La Sicilia, su tale materia, gode di potestà esclusiva (grazie allo Statuto speciale della nostra Regione), ma le aliquote, chissà perché, sono le stesse di quelle stabilite dallo Stato. Non solo: come nel resto d’Italia, per ogni singola concessione c’è una franchigia annua per le prime 20 mila tonnellate in terraferma (50 mila offshore). Questo assai generoso sistema di contribuzione ha fatto sì che nell’Isola, a fronte di 974 mila tonnellate di petrolio estratto, sono state pagate Royalties per soli 19 milioni di euro (dati “Rapporto energia 2011” – assessorato regionale dell’Energia).

Per il responsabile nazionale di Greenpeace, il Governo nazionale si è completamente disinteressato alla questione. In audizione sono stati unanimi i pareri riguardo a quale futuro dare al Mediterraneo, un mare chiuso il cui ricambio avviene in media in 100 anni. Greenpeace ha lanciato una campagna di informazione e di mobilitazione per invitare gli amministratori locali, le associazioni ed i singoli cittadini ad unirsi contro le trivelle, lanciando un appello al ministro dell’Ambiente affinché le fermi.

Si chiede, inoltre, il blocco immediato delle autorizzazioni per progetti di perforazione off-shore che mettono a serio rischio la biodiversità e la attività economiche del Canale di Sicilia; la definizione di Siti di interesse comunitario (Sic) per tutelare le aree marine; una rapida istituzione anche nel Canale di una Zona di protezione ecologica (Zpe), già presente nel Mar Ligure e nel Tirreno; sviluppo di misure di prevenzione, monitoraggio, controllo e repressione dell’ inquinamento marino in generale, e in particolare di quello che deriva dal trasporto di idrocarburi.

“Le trivellazioni nel Canale di Sicilia sono dannosissime e nemmeno remunerative”, dice il presidente della commissione Ambiente dell’Ars, Giampiero Trizzino, esponente del Movimento 5 Stelle. Che aggiunge: “Tutto questo è scandaloso. stanno distruggendo l’ambiente senza che la Sicilia abbia il minimo ritorno. Basti pensare che alcune compagnie hanno franchigie per l’estrazione fino 50 mila tonnellate di greggio e che per la perforazione di aree di un chilometro quadrato pagano cifre assurde, valutabili nell’ordine di 5 euro l’anno”.

Per cercare di risolvere il problema, secondo Trizzino, è opportuno creare un raccordo tra Stato e Regione che razionalizzi il sistema delle normative e delle autorizzazioni. “Cercheremo al più presto – spiega il parlamentare regionale del Movimento 5 Stelle – di coinvolgere nella nostra azione il prossimo Governo nazionale”.

All’incontro di oggi erano presenti rappresentati del Wwf, di Legambiente, dell’associazione Altra Sciacca e di altre associazioni ambientaliste, alcuni rappresentanti della commissione Ambiente e di aree protette. Hanno partecipato all’audizione pure alcuni dirigenti della Regione, inviati a rappresentare il governo regionale in sostituzione del presidente Crocetta e degli assessori Nicolò Marino e Mariella Lo Bello.

Sulla tutela del mare Mediterraneo interviene il parlamentare regionale dell’Udc, Mimmo Turano. “Sono estremamente soddisfatto dell’esito della riunione della commissione Ambiente – dice – che, dopo aver ascoltato il prof. Antonino Mazzola, ha riconosciuto l’intuizione e il lavoro straordinario della Provincia di Trapani e dell’Università di Palermo per la tutela del fondale del Canale di Sicilia”.

“La Provincia Regionale di Trapani, che all’epoca guidavo -ricorda Turano – aveva intuito per tempo il rischio che le trivellazioni costituivano per la conservazione della biodiversità nel Canale di Sicilia , pertanto ci eravamo preoccupati di conferire il 3 luglio del 2010 all’Università di Palermo e nello specifico al prof. Antonino Mazzola, direttore del dipartimento di Ecologia, il compito di verificare i dati della relazione sull’impatto ambientale forniti dalla ditta San Leon Energy”.

“L’analisi del prof. Mazzola – prosegue il parlamentare regionale – evidenziò i dati artefatti della relazione della San Leone Energy che si scoprirono riconducibili al mare Adriatico e non al Canale di Sicilia. L’azione congiunta del dipartimento di Ecologia dell’Università di Palermo e della Provincia di Trapani è stata così determinante non solo per fermare le trivellazioni, ma anche per una inchiesta giornalistica della Trasmissione ‘Report’ che ha evidenziato i pericoli delle trivellazioni, ma anche le vicende poco chiare della ditta San Leone Energy”.

“In virtù di questi trascorsi e della proficua collaborazione con il prof. Mazzola – conclude Turano – non posso che aderire all’appello lanciato da Greenpeace per cercare di? salvare una delle aree più ricche di storia e di diversità biologiche del Mediterraneo”.

 

 

 

Marina Pupella

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