Anc, la street art impegnata «Il mio lavoro è per i catanesi»

«Accademia delle Belle Arti e non mi chiedere che ci ho studiato a fare perché ancora non ho capito a che serve». Per la gloria? «Per l’amore». Antonio, nome in codice Anc, sorride. Da un anno e qualche mese a questa parte, il suo è uno dei nomi più conosciuti di Catania (e dai lettori di questo giornale, perché ne ha disegnato il logo). Una tag su un cassonetto della spazzatura o su un segnale stradale divelto: Anc, «ma solo perché se non firmo altri si prendono il merito del mio lavoro e questo non mi va».

«È nato tutto un po’ per gioco, poi ci ho preso gusto, ho scoperto che non soltanto mi divertivo, ma potevo anche mandare dei messaggi mirati, dire delle cose importanti, che potevano anche avere un senso». Come le sagome di cartone a forma di maiale, che qualcuno ha in casa a mo’ di oggetto da collezione: «Aveva un suo perché, quella cosa là: Catania è una città sporca e a renderla così sono i cittadini. Non maiali ma porci. Su alcune di quelle sagome c’era la scritta “Io amo Catania”, non credo che l’abbiano capita». E nella fattoria Catania di Anc ci sono pure le pecore, «in via Landolina, davanti a tutti i locali; quelle dicevano “Io amo la cultura”».

«Ho cominciato con PacMan, proprio per gioco, poi sono arrivati i bottoni che sostituivano gli stop, i fiori, gli schermi televisivi rotti», tutto al posto dei pali: «Solo quelli vuoti, li cerco con i ragazzi che vengono in giro con me e fanno le stesse cose. Dove mancano i segnali stradali ne metto di nuovi, insoliti, che creano meraviglia, curiosità, divertimento. Non arreco danno a nessuno». Riempie buchi, o dà segnali, «tipo la targhetta del prezzo in piazza Università: cinquanta centesimi, tutto è in vendita, fate la vostra offerta, signori».

Anc insegue l’effetto straniante, «perché si può dare importanza anche a una macchia di muschio su una parete, se si impara a farlo». «Qualcuno si fermerà a guardare, qualcun altro non ci farà neanche caso, e poi altri ancora si fermeranno a pensare. Ma è proprio questo il bello, no? Che tutti abbiamo occhi diversi, soltanto che bisogna allenarli all’osservazione». Un cassonetto abbattuto diventa un volto che vomita spazzatura, «ci ho visto degli occhi, li ho aggiunti, volevo che la gente potesse vedere qualcosa che io solo vedevo». I divieti di mafia e di omertà davanti al Tribunale etneo, in occasione del 23 maggio, anniversario della morte di Giovanni Falcone, «perché è bene parlarne».

Dopo l’inaugurazione del murales di AddioPizzo alla circonvallazione, il suo imbrattamento e il suo successivo ripristino, a voler sfruttare il writing sono stati in tanti, e Anc è anche un writer: «Mi hanno contattato in tanti, affinché io potessi realizzare, a titolo gratuito, una serie di ritratti di Falcone e Borsellino, ma io ho rifiutato: erano essenzialmente partiti e non mi andava che strumentalizzassero quei volti e quelle stragi. Non credo sia giusto politicizzare delle tesi che la gente dovrebbe conoscere per il valore che hanno e non per la bandiera sotto la quale stanno».

A proposito di writing, una delle firme che manca sui pannelli che hanno ricoperto, qualche mese fa, il cantiere aperto del parcheggio di piazza Europa è la sua. «Il solo fatto di prendere i writer e decontestualizzarli non mi piace – spiega lui stesso -. Se in più ci si mette anche che è stata un’operazione che aveva l’unico intento di distogliere l’attenzione dallo sventramento della piazza si capisce il perché della mia ferma opposizione».

Prendere i graffiti e farli diventare il manifesto di qualcosa, secondo Anc, è improponibile: «Partiamo dal presupposto che il writing è nato illegale e morirà illegale: io lavoro illegalmente, non mi inquadro in nessun sistema». E la street art? «Stesso identico discorso: dovrebbe stare per strada, invece poi la trovi nelle gallerie e perde la sua forza, perché non interagisce con l’ambiente circostante, ma solo con l’opera accanto. E tante volte neanche con quella perché ci sono le cornici, che chiudono tutto in una forma». Un artista che se la prende coi musei, «perché i quadri stanno là, con una luce artificiale, impossibili da vedere per tutti, a pagamento e visitabili solo a determinati orari. Quello che faccio io, invece, è per tutti, sempre».

Quanti anni hai? «Ventisette». Continuerai? «Per tutta la vita».

Luisa Santangelo

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