Almaviva, sit-in di protesta in via Libertà «Riportare il lavoro dei call center in Italia»

I lavoratori  Almaviva ancora una volta in piazza per difendere il proprio posto di lavoro. Oggi un centinaio di lavoratori liberi dal servizio si sono dati appuntamento in via Libertà davanti ai negozi della Tim e della Wind. Un’iniziativa sostenuta da tutte le sigle sindacali in vista del tavolo convocato al Mise il 26 giugno prossimo. Diverse le tematiche da affrontare, dalla delocalizzazione del traffico alle tariffe al massimo ribasso, che si ricollegano sempre a un unico problema: la crisi che da anni sta vivendo il settore dei call center. Il lavoratori hanno percorso via Libertà dopo il presidio iniziale davanti alla Tim attraversando la strada a passo lento fino al punto vendita Wind. Contemporaneamente alla protesta è partito un tweetbombing.


«Siamo di nuovo in piazza perché le 3.200 famiglie che vivono con lo stipendio di Almaviva oggi sono seriamente a rischio – spiega Rosi Contorno Rsu Uilcom Almaviva Palermo – La principale causa è il problema della delocalizzazione. Negli ultimi mesi è talmente aumentata che oggi siamo rimasti soltanto con una manciata di chiamate, con pochissimo lavoro. Tutto quello che viene portato all’estero, principalmente in Romania e Albania, viene integrato con un ammortizzatore sociale che ci fa guadagnare la metà dello stipendio». Da lì l’urgenza di chiedere al governo «di mettere un tetto alla delocalizzazione all’estero. La cosa veramente grave è che i clienti per i quali lavoriamo sono tutti pubblici o che fanno business su concessioni pubbliche. Quindi è veramente incredibile che lavoro italiano, finanziato in Italia, venga portato all’estero e non permetta a migliaia di lavoratori italiani di portare a casa lo stipendio intero». Una situazione, riferisce la sindacaliasta, che a cascata sta interessando tutti i call center italiani. «Qualche anno fa sono state varate delle tabelle ministeriali sul costo del lavoro per regolamentare le gare di appalto – ripercorre ancora Contorno – In realtà queste tabelle non vengono rispettate e le tariffe con cui vengono assegnati questi appalti sono molto basse, tant’è che questo lavoro viene portato fuori dove il costo è inferiore, perché In Italia non ce la fanno a pagarci gli stipendi. È necessaria quindi anche una sensibilizzazione dell’opinione pubblica. C’è la possibilità per tutti gli utenti di chiedere che la chiamata venga trasferita e gestita in Italia noi chiediamo a tutti i cittadini di far passare la chiamata a un operatore italiano. Poi è chiaro che questo aspetto va regolamentato per legge». 

Una realtà, quella di Almaviva, che va avanti da anni. «Da sette anni si va avanti grazie agli ammortizzatori sociali, i problemi sono legati alla delocalizzazione e delle gare al massimo ribasso – sottolinea Giovanni Gorgone Rsu Fistel Cisl Palermo Trapani –  Le multinazionali stanno trasferendo il loro traffico all’estero. Almaviva ci ha comunicato che è stato ridotto del 70 per cento. Quindi rischiamo di essere licenziati. Abbiamo bisogno di un intervento massiccio da parte del governo. Noi viviamo di questo lavoro, è un lavoro vero e abbiamo necessità che venga regolamentato.Giorno 26 ci attendiamo che prendano posizione su questa vertenza. Siamo stati invitati anche in terza e quinta commissione dal sindaco Orlando, ci aspettiamo che le istituzioni facciano qualcosa perché il problema sarebbe pesante da gestire per la città di Palermo, perché bloccherebbe l’economia». 

Tutti puntano quindi sul tavolo del 26 giugno al Mise. «Ci aspettiamo che mettano a regime le regole che già ci sono – afferma Claudio Marchesini Segretario Ugl Telecomunicazioni – Sugli appalti non ci possono essere più i massimi ribassi e la delocalizzazione che va avanti da dieci anni deve tornare a livelli accettabili. Non è possibile che si sia invertita la percentuale: prima era il 20 per cento del traffico gestito all’estero e l’80 in Italia e oggi è quasi l’opposto. Almaviva è il centro più grande del Sud d’Italia come numero di addetti ma se crolla Almaviva, crolleranno a ruota tutti gli altri call center. Abbiamo un reddito che è inferiore a quello di cittadinanza, pur andando regolarmente al lavoro. Siamo allo stremo. Non è un problema che possono risolvere i lavoratori ma deve farlo la politica cercando di detassare le imprese che tornano in Italia e dare lavoro a chi da 20 anni svolge questo lavoro con professionalità». 

Un problema annoso che affonda le radici in questioni ancora irrisolte come spiega Massimiliano Fiduccia della Slc Cgil: «Il settore dei call center vive una crisi che va avanti da anni, ed è legata anche alla mancanza di regole e di un piano industriale. Gran parte dei nostri problemi potrebbero essere risolti con il rientro dei volumi di traffico attualmente gestiti all’estero però in prospettiva occorre dedicare un fondo strutturale che non sia legato solo agli ammortizzatori sociali. Quelli servono nell’immediato ma devono essere previste risorse anche per lo sviluppo e il rilancio del settore. Tra nativi digitali, risponditori automatici e intelligenze artificali questi lavoratori vanno riqualificati rispetto a quello che avverrà nel futuro. Nell’immediato ci serve un intervento con i principali committenti ma chiediamo al governo che di qua a qualche mese parta un progetto industriale sul settore, oltre a regole certe applicate su tariffe tra committenti e outsourcer, al rientro dei volumi di traffico delocalizzati e appunto un fondo strutturale che rilanci il settore». Il sindaco Orlando «ci ha convocato prima del Mise – conclude – con la presenza di tutti i player presenti in città del settore a Palermo e l’amministrazione ha preso un impegno forte a sollecitare la politica per intervenire sui temi cruciali per il settore».

Stefania Brusca

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