«C’è differenza tra essere un sindaco dei Cinquestelle, di centrosinistra o di centrodestra». E se lo dice Antonio Tajani, esponente di Forza Italia e presidente del Parlamento europeo, c’è da crederci. La platea delle Ciminiere, pienissime per l’apertura ufficiale della campagna elettorale del candidato sindaco Salvo Pogliese, applaude fragorosamente. Sventola anche qualche bandiera, forzista prima e delle civiche a sostegno di Pogliese poi. Eppure, tra chi assiste al discorso, c’è anche chi a cavallo tra il centrosinistra e il centrodestra trova la sua collocazione: da Alessandro Porto a Maurizio Mirenda, passando per Carmelo Nicotra e Agatino Lanzafame. Tutti consiglieri comunali uscenti, tutti ex sostenitori del primo cittadino Enzo Bianco, tutti adesso aggregati al progetto pogliesiano che ha pescato a piene mani anche dalla vecchia maggioranza.
In piazzale Rocco Chinnici c’è un via vai di gente, di mani che si stringono e di saluti. Spuntano volti che non si vedevano da tempo (vedi alla voce Giacomo Bellavia, ex consigliere comunale, da sempre vicinissimo a Salvo Pogliese) e facce che, invece, la scena non l’hanno mai abbandonata: l’avvocato Giuseppe Lipera, Roberto Tudisco della Fipet, l’ingegnere Salvo Cocina, per andare sui nomi locali. E poi l’ex ministra Stefania Prestigiacomo, l’ex sindaco Raffaele Stancanelli, il presidente della Regione Nello Musumeci, l’ex avversario di quest’ultimo Giovanni La Via. Una prima fila fatta solo di grandi nomi, tutti compatti a cantare l’inno di Mameli e a tirare la volata al candidato che i più danno per vincente. «Ci dispiace, Salvo, che tu lasci Bruxelles per tornare nella tua Catania – dichiara Tajani – Se ci fossero più politici come te, in Europa, forse l’Italia conterebbe più di adesso. Forse riusciremmo meglio a fare valere i nostri diritti. Se ci fossero più uomini capaci di battersi per la loro terra come tu hai fatto per la tua».
O meglio: più italiani capaci di battersi per l’Italia. «Le invasioni barbariche hanno spazzato via tutto, che invasione dobbiamo aspettare dall’Africa? – incalza il presidente del parlamento europeo – Non è un problema di Catania, né della Sicilia, né dell’Italia». È un problema dell’Europa. «Servono investimenti di miliardi. Bisogna lavorare in Africa per fermare i flussi migratori». In altri termini, aiutiamoli a casa loro. E a Catania aiutiamoci a casa nostra. «Salvo, te lo dico da cittadino: noi non ne possiamo più». A chiamare il candidato sul palco è Ruggero Sardo, volto noto delle tv locali, applauditissimo da tutti e tutte. «Io lascio una comoda poltrona belga per sedermi su una scottante poltrona di casa mia», comincia Salvo Pogliese. L’indicativo presente, il modo e il tempo della certezza.
«Voglio ricordare a tutti quel 22 dicembre 1999, quando qualcuno ha abbandonato Catania per Roma». Erano gli anni di Enzo Bianco ministro dell’Interno, volato nel Lazio appena due anni dopo l’elezione a primo cittadino del capoluogo etneo post primavera. «Noi non ci siamo mai venduti – continua Pogliese – Non abbiamo mai tradito. Avevo 14 anni quando ho varcato la soglia del Fronte della gioventù». Il nastro dei ricordi si riavvolge tra gli applausi scroscianti e le bandiere sventolanti. Un discorso che va dai figli seduti in terza fila alla fontana del Tondo Gioeni, «un mausoleo che diventa monumento funebre di un’amministrazione». Del resto, «tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo», afferma Pogliese, citando il militare e scrittore britannico Thomas Lawrence. E lui, il candidato già salutato come sindaco, Catania la sogna diversa da così.
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