Al Revés, la coop che insegna l’arte della sartoria  «Opportunità di riscatto per migranti e detenuti»

Sarjia sente sempre freddo e tiene il cappuccio in testa e i guanti anche quando sta al riparo. Viene dal Gambia e quando parla distoglie lo sguardo e sorride timidamente. «Questo posto mi piace, per me è molto importante». E non aggiunge altro. Lui è solo uno degli oltre 70 tra detenuti, immigrati, donne in difficoltà, tossicodipendenti e persone sottoposte a provvedimenti giudiziari che la cooperativa Al Revés ha accolto e formato da quando è nata nel 2012. Un piccolo mondo in una viuzza nascosta, largo Zuccarello, una traversa di via Sampolo.

Lì la cooperativa ha creato una sartoria sociale: volontari, stilisti e amanti del cucito affiancano giovani italiani e stranieri in difficoltà in cerca di un’occupazione. Fra macchinari e scatoloni stracolmi di stracci, stoffe e scarti da riciclare impilati in un equilibrio impossibile questi ragazzi imparano a cucire, a riparare vestiti, a recuperare abiti e accessori usati, a stirare, ma anche a tirar fuori le proprie creazioni, dalle borse alle bomboniere, dai pantaloni agli abiti da sposa e da cerimonia grazie ai corsi di cucito e ai laboratori creativi organizzati dall’impresa sociale. 

C’è anche chi sta perfezionando le proprie competenze come l’ivoriano Gregoire, che aveva già seguito per tre anni una scuola di cucito nel suo Paese, ma poi si è ritrovato a lavorare saltuariamente in casa e allora «mia madre mi ha spinto perché venissi in Europa perché era convinta che qui avrei guadagnato abbastanza soldi per me e la mia famiglia. E invece quando sono arrivato qua non c’era niente. E mi faceva male non poter più fare quello che desideravo. Ma per fortuna ho trovato questo posto». E poi c’è Giuseppe che ha iniziato nel 2013: «Sono partito dalle basi, bottoni e cerniere, poi piano piano ho iniziato a prendere in mano ago e filo fino a realizzare uno shopper riprodotto in 100 esemplari». Anche lui guarda in basso con i suoi occhi tristi. 

Quest’anno Al Revés vuole tentare il salto di qualità: l’ingresso nell’e-commerce, il trasferimento in una sede più ampia in zona Malaspina grazie a un bando comunale sui beni confiscati – al momento sono in corso i lavori di ristrutturazione – lasciando l’attuale sede in affitto e infine l’acquisto, grazie al contributo della Carta Etica di Unicredit, di una stampante 3D, un computer e alcuni arredi d’ufficio per lanciarsi nel settore del graphic design.

L’obiettivo del cambio sede è creare un vero e proprio punto vendita, magari meno artigianale, con un atelier, un laboratorio e due grandi vetrine e di non affidarsi più alla semplice esposizione dei prodotti in conto vendita in altri negozi: «Questa zona ci ha accolto bene ma vogliamo ingrandirci – dice Rosalba Romano, responsabile del progetto di sartoria sociale in 3D – anche perché nel nostro settore spesso siamo costretti a confrontarci con la concorrenza che lavora in nero perché rende meglio del dichiarato. Ma non ci lamentiamo, tante aziende hanno creduto in noi in questi anni e non siamo mai rimasti senza lavoro». Nel frattempo grazie alla collaborazione del Consorzio Arca è partito un laboratorio tessile finanziato con i fondi europei.

La cooperativa è nata dall’iniziativa di una decina di soci e attualmente dà lavoro a cinque persone che fanno parte dello staff tecnico – due con contratto a tempo indeterminato – oltre ad assistere ogni giorno dalle sei alle dieci persone svantaggiate ma effettua anche servizi a domicilio, dalle pulizie all’accompagnamento all’autonomia. Una parte dei capi sterilizzati viene donata alle comunità alloggio e agli enti benefici come quello che fa capo a Biagio Conte. «Ci facciamo conoscere col porta a porta – racconta la vicepresidente Laura Di Fatta – oppure partecipiamo alle iniziative di Libera o di AddioPizzo. Tanti vengono a portarci i loro vestiti usati. La cosa che più mi inorgoglisce è che questi prodotti non sono solo merci: dietro c’è la storia delle persone che aiutiamo».

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