La nefrite lupica può arrivare a colpire una persona ogni seicento. In Sicilia, secondo le stime, ne sarebbero affette in ottocento. L’incidenza maggiore, triplicata negli ultimi quant’anni, riguarda le donne nel loro periodo fertile. Alcuni farmaci, però, nonostante la loro riconosciuta efficacia, sono incompatibili con la gravidanza. Per queste motivazioni la patologia preoccupa gli specialisti nefrologi. Ad essere colpiti sono vari organi ma in modo particolare i reni. Si tratta di una malattia autoimmune sistemica che può esordire in maniera improvvisa ed acuta. Per approfondire le conoscenze, medici e specialisti di settore si sono dati appuntamento sabato 12 novembre al centro congressi del Policlinico di Messina. L’evento è valido per la formazione continua ed è stato promosso dall’Università della città peloritana.
«Il rene è più frequentemente interessato nelle forme più aggressive – ha spiegato il prof. Domenico Santoro, direttore dell’Unità di Nefrologia dell’Azienda ospedaliera universitaria G. Martino di Messina – e il rischio è quello di arrivare alla dialisi in assenza di una pronta diagnosi o di una tempestiva terapia. I pazienti affetti dalla nefrite lupica presentano una maggiore morbilità e mortalità rispetto ai pazienti affetti da LES senza il coinvolgimento renale. Grazie sia alla diagnosi eseguita attraverso biopsia renale che al trattamento precoce della nefrite lupica, la prognosi renale è notevolmente migliorata negli ultimi 50 anni».
All’appuntamento parteciperanno circa cinquanta nefrologi provenienti da tutte le scuole siciliane e illustri relatori che si alterneranno nell’analisi di specifiche tematiche, divisi in tre sessioni. «Le donne fertili sono più coinvolte a causa dell’influenza dovuta all’attività estrogenica – prosegue – in questi casi la malattia rappresenta un evento estremamente critico anche perché può affliggerle in un momento particolare della loro vita che è la gravidanza, condizionandone l’inizio a causa del tipo di farmaci utilizzati per il trattamento incompatibili durante tale periodo. Negli ultimi anni esistono terapie innovative come rituximab e belimumab, quest’ultimo precedentemente utilizzato come farmaco di accompagnamento in corso di attività residua della malattia renale, ha dimostrato recentemente una sua efficacia anche nella fase d’induzione».
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