Agrigento, un appalto per Ignazio Cutrò Il testimone di giustizia ritorna a lavorare

La mafia già non gli faceva paura, ma da oggi non lo impensierisce più nemmeno la burocrazia. Ignazio Cutrò – l’unico testimone di giustizia in Italia che ha scelto di rimanere nel territorio, a Bivona, nell’Agrigentino – ha finalmente ottenuto i documenti necessari per riprendere la sua attività e anche un appalto. «Non temo più le banche, non temo più la Serit», dice con un sospiro di sollievo. A dicembre gli erano giunte alcune cartelle esattoriali da capogiro: per una serie di problemi burocratici, l’Inps e l’Inail non avevano recepito la sospensione prefettizia, una delle agevolazioni garantite ai testimoni di giustizia nelle condizioni simili a quelle di Cutrò. Le tasse nel frattempo si erano accumulate, raggiungendo oltre 126mila euro, tanto da spingerlo allo sciopero della fame. Ieri è stato ufficializzata la concessione dalla Regione di un appalto per la manutenzione delle cabine elettriche lungo un tratto dell’autostrada Palermo-Messina.

Le vicende di Ignazio Cutrò iniziano nel 1999, con una serie di intimidazioni di chiaro stampo mafioso. Una pala meccanica incendiata, alcune tubature sabotate, camion e altri macchinari incendiati, il furto di attrezzi e poi le bottiglie contenenti benzina e le cartucce. Dopo varie denunce contro ignoti, ha deciso di compiere il primo passo di una lunga salita diventando testimone di giustizia. Grazie alla sua collaborazione, vengono arrestate e condannate a vari anni di carcere cinque persone accusate di estorsione. Ma i problemi non finiscono: prima l’isolamento, la terra bruciata attorno a un nome scomodo, poi le beghe burocratiche.

«Nel giro di una settimana si è stravolta la mia vita», il testimone vorrebbe quasi urlare dalla felicità. Prima l’ottenimento del durc, il documento unico di regolarità contributiva che certifica l’assenza di debiti con l’erario. Ieri la concessione dell’appalto con il consorzio Autostrade siciliane per un importo di 110mila euro. Un sospiro di sollievo anche per cinque degli operai che lavoravano per lui al momento della sua denuncia. «Anche loro erano in attesa – racconta – quando ho detto loro che avevamo ottenuto l’appalto hanno urlato di gioia. Il loro nome era troppo legato alla mia vicenda e nessuno voleva avere a che fare con un testimone di giustizia».

Quella ottenuta ieri non è una vittoria singola, ma «una conquista molto importante, siamo riusciti a indicare la strada giusta. Finora tutte le aziende degli altri testimoni sono fallite. E’ un ottimo segnale», afferma emozionato. «Mai un passo indietro e ntu culu a la mafia», questo il suo motto che spera possa servire d’incoraggiamento a tanti colleghi oppressi dalla mafia.

Carmen Valisano

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